Quella vasca troppo piena di rifiuti
giovedì 13 dicembre 2018

Per capire lo scenario che ha favorito l’incendio del Tmb Salario a Roma, bisogna partire dal numero 3mila. Sono le tonnellate di rifiuti indifferenziati bruciati. Si trovavano nella cosiddetta “vasca”, il luogo dove scaricano gli autocompattatori. Ma non dovevano esserci, se l’impianto avesse funzionato a dovere, se ci fosse a Roma un sistema virtuoso di gestione dei rifiuti, che chiuda la filiera raccoltarecupero- riciclaggiosmaltimento. Partiamo proprio dalla “vasca”. Qui si scaricano e poi si prelevano i rifiuti per lavorarli nell’impianto. Non è un’area di stoccaggio.

Dunque se al Tmb Salario arrivano 600 tonnellate al giorno, ne devono andare via 600 lavorate. Evidentemente questo non sta succedendo. Perché al massimo, soprattutto la domenica e i festivi quando caricano meno compattatori, nella “vasca” dovrebbero stare 3-400 tonnellate. Non dieci volte tanto. E nell’altro Tmb di Rocca Cencia non va certo meglio. Questo è successo per due motivi, ben noti e prevedibili. Accade perché nei mesi di giugno-luglio e dicembre, aumenta la produzione di rifiuti. Non solo a Roma, ma in tutta Italia. E non da oggi. Accade per l’apporto dei turisti (soprattutto nelle città d’arte come Roma) e per l’effetto imballaggi da regali. In questo periodo gli impianti del Nord, del Centro e del Sud dove Roma manda 1,2 milioni di tonnellate all’anno, impegnano le loro strutture prima di tutto per i rifiuti locali, e solo dopo per Roma o per Napoli che soffre della stessa “malattia”. Cioè la mancanza di impianti dove smaltire i rifiuti indifferenziati lavorati nei Tmb: discariche o termovalorizzatori.

Non c’è altra scelta, anche spingendo al massimo la raccolta differenziata resterà sempre una quota cospicua da mettere da qualche parte (discarica) o da bruciare producendo energia (termovalorizzatori). Può non piacere ma è così. Lo fanno tante città. Roma non lo fa e manda in altre regioni e all’estero, dove fanno quello che la Capitale non vuole o non riesce a fare, completando la filiera dei propri rifiuti, così come imporrebbero le direttive Ue. Inoltre se al Salario c’erano 3mila tonnellate “parcheggiate”, è un chiaro segnale che i rifiuti lavorati non partono dall’impianto o ne partono troppo pochi. E quindi che anche nell’anormale normalità quotidiana i flussi fuori regione non vanno bene. Dipendere da altri per risolvere i propri problemi fa essere sempre sul filo del rasoio. E basta un fuoco per far saltare tutto. Ma anche senza incendio, se i rifiuti non vanno via, l’impianto va al collasso, non può più ricevere rifiuti da trattare perché non riesce a liberarsi di quelli trattati. Così si raccoglie di meno, il sistema si ingolfa e Roma diventa una discarica diffusa, con 4-500 tonnellate al giorno lasciate per strada. Inoltre così tanti rifiuti, sempre le 3mila tonnellate, erano come una bomba innescata.

Abbiamo detto che non si tratta di un sito di trasferenza né di stoccaggio, ma un luogo dove scaricare e lavorare subito i rifiuti. Invece quelli sul fondo, almeno mille tonnellate, erano lì da una decina di giorni. Hanno così avuto tutto il tempo di fermentare (la puzza che gli abitanti della zona conoscono bene), producendo al loro interno bolle di biogas che hanno sicuramente favorito la combustione, a prescindere dal fatto che l’incendio sia colposo o doloso. Un incendio che ha provocato un denso fumo nero che ha raggiunto tanti quartieri della città. Dunque a bruciare è stata molta plastica. E anche questa lì nella “fossa” non ci doveva stare. Segno evidente di una raccolta differenziata che a Roma non solo è insufficiente ma anche fatta male. Non poche volte i cittadini trovando il cassonetto della plastica pieno, mettono il proprio sacchetto nell’indifferenziata oppure lo poggiano a terra, che è la stessa cosa: tutto finisce nei Tmb.

Sbagliano i cittadini, ma certo non sono aiutati a comportarsi virtuosamente. E siamo al solito problema della mancanza a Roma di impianti adeguati. Anche semplicissimi. Tutte le grandi città hanno siti di stoccaggio provvisorio. Anche Napoli li ha. C’è un progetto di Ama del novembre 2013 presentato a Roma Capitale per un impianto da 2mila tonnellate da realizzare a Ponte Malnome, un’area della stessa Ama. Sarebbe costato appena 300mila euro. Non si fece per l’opposizione dei Municipi e da allora è tutto fermo. Eppure sarebbe preziosissimo sia nell’attività “normale”, che soprattutto ora che dopo l’incendio non si sa dove mettere 600 tonnellate al giorno. E meno male che un mese fa è stata riaperta la discarica di Colleferro, che era ferma da un anno, dove finiranno i rifiuti lavorati ad Aprilia, Colfelice e Viterbo. Diversamente non sarebbe stato possibile mandarli in quei tre Tmb, come ha annunciato la sindaca Raggi. Ma il loro soccorso non basterà.

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