I tre gravi errori del separatismo alla Musumeci
martedì 25 agosto 2020

Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, ha spiegato pochi giorni fa che, a seconda delle regioni, il 25-40% dei nuovi contagi da Covid-19 è 'importato' da chi rientra dalle vacanze, mentre tra chi sbarca sulle coste in cerca di asilo non oltre il 3-5% risulta positivo ai test, compresi quanti s’infettano nei centri di accoglienza a causa dell’inadeguatezza delle misure di prevenzione. Incurante di questi dati, il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ha lanciato una campagna politico-mediatica contro l’accoglienza dei richiedenti asilo, rivendicando le proprie competenze in materia sanitaria.

La paura dei contagi in crescita diventa, insomma, una clava da usare in modo selettivo contro i più deboli tra coloro che approdano in Sicilia in questo periodo ancora estivo: non contro chi sbarca dagli yacht, dai traghetti e dagli aerei. Gli 'untori', stando a quanto si vorrebbe far apparire, sono i profughi e migranti poveri e chi li trae in salvo, non i turisti più o meno benestanti che arrivano sull’isola. La battaglia lanciata da Musumeci, prontamente appoggiato dai partiti di opposizione, è deprecabile per almeno tre motivi. Il primo motivo è politico-istituzionale.

Il presidente siciliano ha innescato un grave scontro con il governo centrale, arrogandosi per via sanitaria competenze in materia di politica migratoria. Se ogni Regione fosse titolata a decidere se e come accogliere i richiedenti asilo, si innescherebbe un autentico caos, e in ogni caso l’Italia cesserebbe di avere una politica nazionale su una materia così sensibile, internazionalmente rilevante. Il governo non è esente da colpe, avendo contribuito per la sua parte a produrre l’immagine del profugomigrante come diffusore della pandemia: dichiarando inagibili i nostri porti durante il confinamento e tardando a trovare alternative all’abnorme concentrazione degli sbarcati sull’isola di Lampedusa.

Non è tuttavia accettabile un fai-da-te regionale su un tema del genere, e la regia delle politiche dell’asilo non può che rimanere saldamente nazionale. Il secondo motivo di demerito dell’improvvida iniziativa di Musumeci è culturale. Si innesta nel solco delle politiche locali di esclusione degli immigrati, e negli ultimi anni in modo particolare dei rifugiati: quelle politiche che identificano gli stranieri (poveri) come nemici, spingendo le comunità locali a compattarsi contro la presunta minaccia che arriva dall’esterno. Cercando consenso a basso costo, legittimano sentimenti e comportamenti xenofobi. Preparano così il terreno ad altre e più pericolose manifestazioni di ostilità verso chi è rappresentato come diverso e pericoloso. Il fatto che questo avvenga in una terra come la Sicilia, che ha dato fin qui numerosi esempi di lucida e generosa accoglienza, suona ancora più inquietante. Il terzo problema riguarda il contrasto tra i fuochi d’artificio mediatici di Musumeci e l’organizzazione di un serio sistema di protezione per chi sbarca sulle nostre coste.

La collaborazione tra istituzioni centrali e locali, tra poteri pubblici e attori della società civile, tra forze di sicurezza e operatori dell’accoglienza è un requisito indispensabile. La prevenzione sanitaria e la rassicurazione delle comunità locali non sono affatto alternative al dovere di accogliere. Polemiche sterili come quelle del presidente siciliano allontanano la ricerca di soluzioni praticabili, anziché favorirla. Occorre ancora una volta fare appello alle energie solidali della terra di Sicilia per trasformare questa brutta pagina di speculazione politica in un rinnovato slancio di fraternità, e malgrado tutto di disponibilità a una accoglienza ragionevole e sicura per tutti.

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