mercoledì 16 dicembre 2009
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Stavano giocando, come tutti i bimbi del mondo giocano. Stavano correndo, come tutti i bimbi del mondo corrono. Stavano ridendo, come tutti i bimbi del mondo ridono. Anche in Somalia...Poi, improvvisamente, quell’assordante boato, quell’accecante fiammata. Una nuvola di polvere che secca la gola. E poi il silenzio. Silenzio di morte. Un attimo per strappare via sei piccole vite. Cala la polvere e appaiono quei piccoli corpi a terra, come bambolotti gettati distrattamente qua e là. Perché in Somalia si muore. Dilaniati da una mina dietro al villaggio, messa lì apposta o dimenticata da qualche gruppo armato. Ma "lei", piccolo ed efficiente strumento di morte, non dimentica la sua funzione: uccidere, soprattutto civili, soprattutto bambini. In Somalia si muore. Sei fratelli, tra i tre e gli undici anni, quattro maschi e due femmine. Un lancio d’agenzia dà la notizia, da quella terra d’Africa dove guerra, violenza e morte sono di casa da decenni. Chi sono, come si chiamano quei piccoli? Non sappiamo nulla, solo che vivevano nel villaggio di Balambane, nella regione centro-occidentale del Paese. I genitori, come riporta l’agenzia, stavano preparando da mangiare. Quel poco che le famiglie somale, soprattutto nelle zone interne, riescono a racimolare. Guerra e fame, come sempre. Ma per i bimbi, come tutti i bimbi del mondo, è sempre un momento di allegria. «Prima io!». «No, prima io!». «Questo lo voglio io!». «No è mio!». Si scherza, si corre... Già, si corre. Chi mette le mine punta proprio a questo. Alla loro allegra incoscienza. A quell’età chi pensa alla morte... E più bimbi muoiono o restano mutilati, più il danno sarà grave, è il freddo e cinico ragionamento di chi inventa, costruisce, usa le mine antiuomo che, piuttosto, dovremmo chiamare antibimbi. Una terribile contabilità: un bimbo morto vuol dire un adulto in meno, un bimbo invalido vuol dire un adulto invalido, con tutti i costi che comporta. Lo ha denunciato con forza recentemente Benedetto XVI in una lettera inviata in occasione della Conferenza internazionale di Cartagena sulle mine antiuomo. «Le migliaia di vittime che continuano a provocare – scrive il Papa – ci ricordano, nel caso fosse necessario ancora ripeterlo, la chimera di voler costruire la pace e la stabilità con una visione esclusivamente militare». E aggiunge: «La difesa degli interessi nazionali non può mai né deve andare a detrimento delle popolazioni civili, in particolare dei più deboli». E chi è più debole dei bambini, di quei sei piccoli somali? Più debole e più facile da colpire? Deboli e, quindi, da dimenticare in fretta, da ignorare. Sei fratellini dilaniati da una mina non sono una notizia? Noi pensiamo che proprio queste siano le notizie a cui dare voce. Quella voce che quei bimbi non hanno più. Ma ci restano nella penna solo queste poche righe. Perché solo questo sappiamo o, almeno, immaginiamo. Niente di più. Non sappiamo i nomi. Non li sapremo mai. Piccole vittime ignote. Tanto sono in Somalia, dove vita e morte viaggiano sempre su un labile confine. Notizia lontana, solo un flash. Sei morti in più, ma che vuoi che sia laggiù in Somalia! Ma quelle piccole morti fanno male al cuore e al cervello. Quei sei informi fagottini di carne e vestitini lacerati. Quei piedini che non correranno più, quelle manine che non faranno più "ciao". Una corsa, un boato, un lampo... In Somalia, lontano migliaia di chilometri dal clamore delle prime pagine del nostro Occidente distratto.
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