venerdì 4 dicembre 2009
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Doveva essere una giornata importante per Dmitrij Medvedev, il giovane leader del Cremlino che ieri a Roma, incontrandosi per la prima volta con il Papa in Vaticano, ha annunciato la storica decisione di elevare al massimo livello i rapporti diplomatici fra Santa Sede e Russia ex sovietica. Ma a Mosca quella vecchia volpe di Putin gli ha rubato la scena con un’intervista-fiume in diretta tv nel corso della quale non ha escluso  la propria candidatura alle elezioni presidenziali del 2012. La scadenza è lontana ma il rischio di una "guerra al vertice" sembra essere molto vicino, anche perché Medvedev ha reagito con grande prontezza e decisione. «Anch’io non escludo di candidarmi» è la risposta a muso duro dell’ex protetto di Putin che in questo modo esce definitivamente dal cono d’ombra in cui lo voleva relegare il suo ingombrante patron. Certamente, «c’è ancora tempo e riusciremo a metterci d’accordo», ha concluso in tono conciliante. Ma è chiaro che tra i due è iniziato un braccio di ferro, sia pure con guanti di velluto (almeno per ora).Eletto alla più alta carica dello Stato nel marzo del 2008, il giovane Medvedev venne considerato da molti osservatori come un fantoccio di Putin, il quale dovette a malincuore lasciare il Cremlino decidendo di traslocare alla Casa Bianca, sede del primo ministro. In questo modo  zar Vladimir dimostrò di rispettare formalmente la Costituzione che impedisce al Capo di Stato più di due mandati consecutivi. Nessuno ha mai avuto dubbi sulla sua volontà di ricandidarsi nel 2012, avendo così a disposizione due ulteriori mandati che, in seguito ad un recente emendamento, dureranno ciascuno non quattro ma sei anni. Una Russia putiniana fino al 2024! In questa visione la presidenza Medvedev non poteva essere altro che una breve  parentesi.Invece, come avevamo previsto all’indomani della sua elezione, il neo-presidente si è progressivamente smarcato dal predecessore. Al nuovo look di ragazzo perbene, volto pulito e modi cordiali, ha saputo aggiungere della sostanza. Ha criticato in varie occasioni l’operato del governo guidato da Putin, ha sfidato le grandi holding di Stato e si è messo a dialogare con gli oppositori ricevendoli al Cremlino. Nel suo discorso alla nazione tenuto a settembre Medvedev ha messo sotto accusa la corruzione degli apparati pubblici ed ha avanzato proposte concrete di riforma del sistema elettorale e dei partiti, invocando modernizzazione e democratizzazione in un Paese giudicato primitivo e arcaico. Ha promosso inchieste per fare chiarezza sui molti crimini politici (l’ultimo caso è quello dell’avvocato Sergei Magnitskij, morto durante un interrogatorio di polizia). E’ vero, gli effetti non si vedono ancora e questo spiega il sarcasmo di un dissidente come Gary Kasparov, secondo cui «Medvedev nella Russia di Putin non dirige nulla, salvo forse il suo blog». Ma è un fatto che il neo-presidente ha acquisito sempre più autorevolezza ed anche popolarità, pur restando dietro Putin che i sondaggi danno al 65 %, in calo rispetto a qualche mese fa. Nella Russia provata da una durissima crisi economica, dalla disoccupazione e dal risorgente terrorismo lo slogan putiniano della stabilità si rivela sempre più vacuo. Medvedev non fa promesse, invita a cambiare mentalità. Diventerà l’anti-Putin? E’ presto per dirlo. Ma intanto l’aquila bicefala, simbolo della Russia, torna a divaricarsi ed a guardare in due direzioni diverse. Il timore è che il Paese sprofondi in "tempi torbidi" di lotte politiche e di caos sociale. La speranza è che, dopo quasi vent’anni di transizione post-comunista, la Russia diventi finalmente una grande e rispettata democrazia.
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