giovedì 31 marzo 2016
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M ilano, 28 marzo, Lunedì dell’Angelo - Mattina di cielo pallido e di pioggia rada e fina, che cade e smette e riprende a cadere. Al Parco Sempione, alle nove, ancora quasi nessuno. In cima all’Arco della Pace i grandi cavalli di bronzo hanno i musi protesi, i muscoli tesi in un galoppo che non parte mai. Silenzio. Se si tende l’orecchio, dapprima solo la pioggia. Poi, il gracchiare irridente di una cornacchia sui rami ancora spogli. Il fischio di un merlo. Il chiocciare di una fontanella di ghisa - di quelle che da bambini, quando si veniva qui a giocare, chiamavamo i 'draghi verdi'. Nell’erba fradicia il cane impazzisce di gioia, ebbro di odori che solo lui riconosce; e tira il guinzaglio, tira, è lui che mi trascina dentro questa mattina di marzo, nel Parco deserto. Non è ancora del tutto primavera: fiorite di oro le forsizie, e poche altre piante, fiori rosa gentili di cui non so il nome. Sui rami i germogli chiarissimi bucano la scorza nera della corteccia, e se li guardi da vicino il loro palpitare nascente ti commuove. Ancora pioggia, fresca, a raffiche. È bello andarsene senza ombrello e gustare questa pioggia sulla faccia, berla, quasi. Come la bevono le foglie turgide delle magno-lie, lucenti, gonfie di linfa. E sì, non è del tutto primavera, ma questa muta attesa è quasi più bella: è l’istante di un già, e non ancora, è l’ora che si approssima al parto, traboccante di vita. Da lontano, l’eco di metallo di un tram che se ne va verso corso Sempione. Il cane rovista nelle aiuole: fradicio, sporco di terra, tira, eccitato come un bambino. Fino a che in fondo si staglia la grossa mole del Castello, le mura coperte di edere avvinghiate agli antichi mattoni. Nel fossato del cortile, sotto al ponte, giovani gatti magri muovono passi guardinghi, le pupille degli occhi stretti a fessura. Pioggia, di nuovo, brusca, improvvisa: sembra l’acqua benedetta in chiesa, quando cade dal getto dell’aspersorio. Tornare indietro, alzando gli occhi alla trama dei rami ancora nudi e però costellati di germogli, in un velo di pizzo verde acerbo. È una promessa questa mattina di marzo, da cogliere e conservare in sé, in silenzio. Per essere contenti in questo cielo grigio, su questo asfalto livido e bagnato. È l’ora, quasi: sottoterra la pioggia nella terra va gonfiando i semi, che muoiono e nascono a vita nuova. Lassù i cavalli di bronzo sopra all’Arco della Pace, possenti e fieri, sembrano trattenere in sé il vigore e l’ansia di correre anche loro, a un impercettibile ordine: quando, di colpo, come venuta dal nulla, traboccherà la primavera. © RIPRODUZIONE RISERVATA in un giorno come gli altri
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