giovedì 11 febbraio 2016
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Caro direttore, riporto quanto detto da papa Francesco sulla preghiera: essa non può essere considerata soltanto «una buona pratica per mettersi un po’ di pace nel cuore; e nemmeno un mezzo devoto per ottenere quel che ci serve. Se fosse così, sarebbe mossa da un sottile egoismo: io prego per star bene, come se prendessi un’aspirina». Al contrario, dice il Papa, la preghiera «è un’opera di misericordia spirituale, che vuole portare tutto al cuore di Dio. La preghiera è dire: “Prendi tu, che sei Padre. Guardaci tu, che sei Padre”. È questo rapporto con il Padre». Ecco, direttore, questo modo di intendere la preghiera mi sembra sostanzialmente diverso da quanto fino ad ora ci è stato detto. Cito queste due frasi: «Chiedete e vi sarà dato», e poi, addirittura nel Padre Nostro, «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Sembra quasi un imperativo categorico rivolto a Dio. Lei che ne pensa ?
Pierluigi Poggi
 
Credo che nella vera preghiera non c’è mai “imperativo categorico” nel senso da lei evocato, caro signor Poggi. Non c’è, cioè, “intimazione”. Persino nella più dolente e drammatica che ho ascoltato (o intuito) sulle labbra di fratelli martirizzati per la loro fede in Cristo. Persino nella più amara, affannata e incalzante. Persino in quella che, in certi momenti, può suonare come sfida all’Altissimo. E non dimentico che sin da bambino mi è stato insegnato a pregare il Padre con le parole del Figlio e, sempre, con parole di figlio. Proprio come il Papa ci invita a fare.
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