mercoledì 21 ottobre 2015
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Caro direttore,
il Congresso del Partito popolare europeo che si apre oggi a Madrid è un appuntamento cruciale di conferma e rilancio dei valori europei in uno dei momenti più difficili della nostra storia. Al centro delle nostre riflessioni c’è il dovere di proteggere l’Unione e le comuni radici giudaico-cristiane. Noi siamo sottoposti oggi (lo saremo a lungo) a terribili minacce esterne e interne, che mettono in pericolo la nostra identità. Il rischio maggiore è quello di perdere noi stessi la bussola dei valori, a dispetto del progresso materiale che da cittadini europei abbiamo raggiunto. Dobbiamo ripartire dal coraggio di affermare una concezione di «economia circolare» fondata sull’umanesimo e sul rispetto della natura; dal rifiuto del concetto freddo, riduttivo di Europa delle banche e della finanza.
 
 
Dobbiamo perseguire in concreto quella “ecologia sociale” che è al tempo stesso blocco di partenza e traguardo, come ci insegna l’enciclica Laudato si’ che promuove una analisi dei problemi ambientali inseparabile dai contesti «umani, familiari, lavorativi, urbani e dalla relazione di ciascuna persona con sé stessa», il tutto avendo come obiettivo una «conversione ecologica».
 
 
È per questo che noi popolari europei crediamo nell’economia sociale di mercato, perché implica la realizzazione di un uso ottimale delle risorse umane, energetiche e di materie prime. In altre parole: l’aumento di Pil e competitività convivono con l’utilizzo più efficiente delle risorse.
 
 
Non è questa, però, l’unica sfida che il Ppe intende affrontare e vincere. Tutto si tiene. Dalla fede nei valori discendono due priorità politiche. La prima consiste nel controllo delle frontiere esterne, in una lotta più stringente a trafficanti di esseri umani e passatori, in una più equa distribuzione delle responsabilità nell’accoglienza di chi ha davvero bisogno e di chi fugge da guerre e persecuzioni reali. La seconda: difendere tutte le comunità religiose perseguitate, in qualche caso addirittura a rischio di estinzione, massacrate e braccate. I cristiani, lo sappiamo, sono il gruppo oggi più bersagliato del mondo. Fermare l’aggressore è un imperativo: non solo per obbedienza a quei princìpi laici di libertà e democrazia che sono la spina dorsale dei nostri sistemi di vita e di governo, ma per la solidarietà e l’aiuto che dobbiamo a comunità che dividono con noi la cultura cristiana, ossia il nostro Dna spirituale.
 
 
Nei tempi di guerra che viviamo non si tratta, caro direttore, di semplici parole, ma di un atto di fede che è anche un manifesto politico. Alla violenza bisogna rispondere con la forza e con il dialogo interreligioso. Terrorismo e fanatismo ci sfidano in casa nostra. Ma la nostra casa è ovunque i nostri valori siano vissuti in modo autentico e con coraggio. La nostra casa è nei territori che vivono sotto la minaccia di progetti totalitari di “bonifica” etnica e religiosa. La distruzione delle comunità cristiane e di altre minoranze etniche e religiose, e dei simulacri dell’arte capolavori dell’umanità, sono il segno di una barbarie che va combattuta. Non c’è missione più giustificata. Come afferma papa Francesco, i perseguitati a causa della fedeltà a Cristo sono «i nostri martiri di oggi e sono tanti, possiamo dire che siano più numerosi dei primi secoli».
 
 
Ma difendere questi nuovi martiri significa insieme preservare noi stessi, consolidare le ragioni del nostro stare insieme come cittadini europei. Contro il disfattismo di movimenti che cavalcano insofferenza, crisi e paura (e che di insofferenza, crisi e paura devono per forza nutrirsi). Noi, in quanto membri della famiglia popolare, siamo convinti che il progetto europeo si possa tutelare e irrobustire solo con una maggiore integrazione, con la trasparenza e la vicinanza delle istituzioni ai cittadini, e con una politica estera e della sicurezza capace di parlare una sola voce quella della solidarietà, della sussidiarietà, della centralità della persona. La voce dell’Europa cristiana.
 
*Vicepresidente del Partito popolare europeo
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