La proprietà non è diritto primario
martedì 6 ottobre 2020

L’enciclica Fratelli tutti, come dice già lo stesso titolo, mira a destare e promuovere la coscienza della fratellanza come valore che deve improntare le relazioni umane a tutti i livelli e ambiti della convivenza: non solo a quelli interindividuali e microrelazionali, ma altresì pubblici e macrorelazionali. Dimensione questa su cui Francesco, in «un mondo globalizzato e interconnesso » insiste particolarmente. Di qui il carattere «universale» della fratellanza. Tra i risvolti pratico-operativi della fratellanza c’è il diritto a beneficiare dei beni e delle risorse di questo mondo.

Diritto che pone il problema etico della proprietà: è solo privata, a beneficio di chi ne ha acquisito il titolo, o anche altri ne possono rivendicare il beneficio? C’è un diritto di proprietà, che appartiene allo ius gentium e alla dottrina sociale della Chiesa. Diritto legittimato come riconoscimento e affermazione della dignità e libertà delle persone, che attraverso di esso esprimono e realizzano se stesse: «Diritto – leggiamo nell’enciclica – necessario alla realizzazione integrale delle persone». «Diritto naturale», appartenente quindi all’ontologia della persona, al suo essere: come tale insopprimibile.

Ma «il diritto alla proprietà privata è un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni», che è invece diritto «originario e prioritario». Il che è in linea con tutta la traditio ecclesiae, che va dai Padri della Chiesa (il Papa menziona san Giovanni Crisostomo, san Gregorio Magno) alla grande Scolastica (san Tommaso d’Aquino), alla moderna dottrina sociale della Chiesa: «La tradizione cristiana – scrive il Papa – non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata».

Funzione sociale significa che chiunque possiede un bene non lo possiede solo per sé, facendone un uso esclusivo e abusivo, ma lo deve ad ogni modo valorizzare e amministrare «a beneficio di tutti», specialmente dei più bisognosi e indigenti. Così che «nessuno può rimanere escluso». Tra i beni c’è anche lo sviluppo, inteso come progresso socio-economico: «Lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi ». Il Papa elogia in merito l’attività degli imprenditori come via eminente alla socializzazione delle proprietà e dei mezzi di produzione: «essa è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti».

Tra queste produzioni un particolare bene è costituto dalle opportunità di lavoro che una sana imprenditoria crea e moltiplica. La destinazione universale dei beni poggia sul principio antropologico basilare della comune dignità di persona degli individui umani e sul principio teologico dell’appartenenza della terra a Dio che la destina, quale Padre, a tutti i suoi figli. Così che nessuno può essere escluso dai suoi benefici. Tale destinazione dagli individui si estende ai popoli, al «diritto dei popoli»: «La certezza della destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse».

Di qui la denuncia che il Papa fa della inequità distributiva a livello mondiale. È questione di giustizia, la quale «esige di riconoscere e rispettare non solo i diritti individuali, ma anche i diritti sociali e i diritti dei popoli». «Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti». Tale diritto è da considerare anche in rapporto alla questione ecologica, per la dissipazione che si fa oggi dei beni e delle risorse della terra a danno delle future generazioni.

L’insistenza del Papa nel dire e ribadire questa funzione sociale della proprietà, il suo farsi voce dei diritti disconosciuti di individui, categorie di persone e interi Paesi di godere dei beni, delle risorse e degli sviluppi tecnoproduttivi, la denuncia forte della esclusione di tanti dai benefici del progresso non significa alcun cedimento alla concezione e alla prassi comunista dei beni e del loro possesso. Concezione e prassi in cui la persona e le comunità di persone vengono posposte e asservite allo Stato.

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