Per non ridurci a rissoso condominio
giovedì 10 maggio 2018

Nelle famiglie, sul lavoro, nelle compagnie di amici impegnati in un’avventura, nelle assemblee di condominio, in tutti i gruppi di persone riuniti attorno a un obiettivo c’è sempre qualcuno che si distingue perché 'rema contro', si oppone per principio, stronca le idee sul nascere. Il suo ruolo non è di per sé negativo: a volte i muri alzati pur senza valide ragioni servono a riattivare lo spirito critico del gruppo. Il problema nasce quando l’attitudine a lavorare 'contro', o a lavorare 'senza', si diffonde come un virus nella maggioranza, relegando ai margini chi cerca di lavorare 'per' o lavorare 'con'.

Quello che sta caratterizzando la politica italiana si avvicina molto a questo tipo di deriva. Il gioco dei veti incrociati che è sembrato a lungo rendere impossibile qualunque alleanza tra le forze rappresentate in Parlamento riproduce alla perfezione la dinamica deleteria e sterile di un gruppo che non è capace di progredire proprio perché non è in grado di mediare, collaborare, tendere a un obiettivo comune per il bene di tutti, anche rinunciando a una parte di interessi personali.

I 5stelle che propongono un contratto alla Lega senza Berlusconi, il Pd renziano che non ha alcuna intenzione di allearsi con i 5stelle, la Lega che non ne vuole sapere del Pd, Berlusconi che si accorderebbe con il Pd, ma non vuol neanche vedere i 5stelle... Lo schema di chi si dice pronto a governare, ma solo a condizione che non ci sia qualcun altro, riproduce bene situazioni che ciascuno di noi sperimenta regolarmente nella vita quotidiana: il parente che si rifiuta di cedere un pezzo di terreno o di casa che non gli serve solo perché non vuole che vada a un altro parente; il collega che coglie sempre ed esclusivamente il lato negativo di ogni idea oppure la boccia perché arriva da qualcuno in particolare; il condòmino che si oppone a un’opera utile a tutti solo per ripicca contro altri condòmini. Si potrebbe andare avanti all’infinito.

La politica ha sempre ragioni superiori, un lato nobile per quanto interessato che può giustificare veti, sgambetti, voltafaccia, trasformismi: la sopravvivenza della propria forza alla tornata elettorale successiva. È la logica del consenso e va rispettata. I 'no', insomma, sono sempre esistiti, sono legittimi e restano funzionali alla dinamica democratica. Tuttavia l’impressione in questa fase storica è che a prevalere sia la predisposizione a considerare la propria visione come l’unica possibile, quasi una verità assoluta e irrinunciabile. E che questo sia il frutto di un dato culturale che appartiene ormai a gran parte della società: la difficoltà a lavorare 'con' e a lavorare 'per', la fatica di mediare e di accettare ragionevoli compromessi.

Un mondo di opinioni polarizzate in stile ultras da stadio che la dimensione dei social network riesce a rappresentare al meglio, anche se non ne è la causa. La politica dei veti trae fondamento tra le altre cose da una specifica narrazione e retorica, quella della propria 'base' di elettori che non capirebbe le convergenze. Per questo più che un rifiuto, a essersi manifestata in queste settimane sembra essere piuttosto una paura ad assumere responsabilità di governo sulla base di un patto con un’altra forza. Un timore del tutto comprensibile alla luce di una campagna elettorale caratterizzata come mai si era visto in passato da programmi nel loro insieme irrealizzabili perché economicamente insostenibili.

La questione, però, può anche essere un’altra: ha ancora senso riferirsi a una 'base' di elettori se oggi le basi, quando ancora ci sono, risultano sempre più fluide, mobili e incerte? C’è una lezione che ci arriva dalla storia più recente. Molte delle realtà che sono diventate motore di sviluppo e ragione di successo per il nostro Paese, dalle cooperative ai distretti industriali, sono nate con un approccio diametralmente opposto alla logica dei veti e delle contrapposizioni, in quanto animate da persone che hanno saputo far prevalere i punti in comune anziché dinieghi preventivi o gelosie.

Il bene comune, il bene del Paese richiede sempre uno sforzo per far sì che la ricerca dell’affermazione individuale non escluda la possibilità di un benessere maggiore per tutti, a partire dai più deboli. La buona politica è molto più di un’assemblea di condominio permanente tra persone che non si sopportano. Sarà davvero riuscito il buon 'amministratore' della casa di tutti gli italiani, il presidente della Repubblica, nell’impresa di provocare un sussulto di responsabilità?

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