sabato 3 dicembre 2016
L'impegno della Chiesa al fianco dei più poveri: il caso argentino del sacerdote trovato impiccato in chiesa e il fronte messicano, sempre più cruento
Padre Alejo Nabor Jiménez e padre José Alfredo Suarez, i due sacerdoti uccisi in Messico in settembre (foto diocesi di Papantla)

Padre Alejo Nabor Jiménez e padre José Alfredo Suarez, i due sacerdoti uccisi in Messico in settembre (foto diocesi di Papantla)

COMMENTA E CONDIVIDI

La chiesa di Nostra Signora del Valle, a Colombres, nella provincia argentina di Tucumán, è stata devastata il 25 novembre. Qualcuno è entrato nel luogo sacro e ha rotto a casaccio mobili, statue, lampadari. Perfino le Ostie consacrate sono state profanate. Un atto di vandalismo feroce, in apparenza. Nulla di troppo insolito. Se non fosse per il fatto che la parrocchia è situata a poca distanza da La Florida. Nella cui chiesa, il 5 ottobre scorso, è stato trovato il cadavere impiccato di padre Juan Viroche. Anche quel tempio è stato spesso vittima di anonimi malintenzionati. Sarà una coincidenza – affermano i residenti, dietro garanzia di riservatezza –, ma gli attacchi sono cominciati dopo che padre Juan aveva denunciato l’avanzata del narcotraffico nella zona. A quasi due mesi dalla tragedia, il 'teorema del suicidio' di padre Viroche, proposto dalle autorità, convince sempre meno gli argentini. Il giorno dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Avvenire sulle anomalie del caso, Gustavo Vera, deputato e fondatore dell’organizzazione anti-tratta 'La Alameda', ha presentato una circostanziata denuncia. In cui fa i nomi di personaggi di spicco dell’apparato d’intelligence. Questi sarebbero coinvolti in indagini sul traffico di esseri umani, commercio di droga e sfruttamento sessuale di donne e bambine.

Vera ha raccolto testimonianze e prove riguardo «quattro accessi abusivi nella parrocchia, minacce alla nipote e una catena di altri avvertimenti mafiosi precedenti alla morte di padre Juan». Segnali inquietanti. Dai quali era possibile ipotizzare «una azione violenta da parte degli stessi che venivano chiamati in causa dal sacerdote anche davanti alla Commissione per i diritti umani della legislatura e accusati da padre Viroche di attività legate al crimine organizzato». Lo scopo dell’esposto di Vera è quello di diffidare «la giustizia provinciale dal continuare ad investigare sul caso Viroche come morte dubbia. Quest’ultima deve essere trattata – spiega il sito d’informazione Tierras de America – come assassinio nel contesto delle denunce di padre Juan verso narcotrafficanti e trafficanti di persone che coinvolgevano politici ed anche funzionari di polizia con tanto di nome e cognome». In altre parole, l’obiettivo è che si passi da una investigazione distrettuale ad una inchiesta federale, perché le implicazioni della vicenda varcano i confini di Tucumán. E arrivano fino a Buenos Aires per toccare alcuni settori della politica e della polizia.

Tra le persone chiamate in causa da Vera vi sono i fratelli Soria: Arturo, detto 'Chico', insieme alla moglie Inés Gramajo, e Jorge detto 'Feto'. Quest’ultimo appartiene al 'Comando Atila', una gang nata per fiancheggiare la repressione militare durante l’ultima dittatura (1976-1983) e poi riconvertita in clan mafioso. Dubbi vengono mossi anche su Luis Alberto Bacca, capo degli investigatori del commissariato de La Florida, il quale sbrigativamente voleva archiviare il caso come suicidio motivato da problemi 'passionali'. Le quattro donne indicate da alcuni media locali come 'amanti' di padre Juan, si sono poi rivelate del tutto estranee ai fatti e in alcun modo riconducibili al sacerdote. Sono molti i dettagli che non tornano nella morte del sacerdote. «Ci sono diversi indizi che fanno credere che nella parrocchia vi sia stata una colluttazione», asserisce un avvocato che collabora con Gustavo Vera e che si è recato sul posto per compiere una investigazione indipendente. «Ora dovranno essere analizzati diversi campioni di Dna raccolti sotto le unghie di padre Viroche». Da quanto è stato possibile ricostruire in queste settimane, quest’ultimo stava per denunciare un poliziotto e due politici di far parte di una rete criminale rapisce minorenni emarginati, li rende dipendenti dalla droga e poi li mette sul mercato della schiavitù sessuale.

«L'esposto – confermano svariate fonti locali ad 'Avvenire' – doveva essere presentata il giorno successivo a quello della morte di padre Juan». Naturale il sospetto che qualcuno abbia voluto fermarlo prima. Del resto, è così che agiscono i narcos e quanti all’interno delle istituzioni li proteggono. Con un budget annuale da 320 miliardi di dollari, il traffico di droga è il più redditizio business illegale globale. Grazie alla 'fame di sballo' di Europa e Stati Uniti. Se la produzione si concentra nel Sud del mondo, il consumo è prevalentemente nel Nord. Da lì arriva il fiume di denaro che – opportunamente 'ripulito' nei circuiti finanziari internazionali – permette ai signori della droga di espandere il loro potere e raggio d’azione. Fino a 'catturare' interi pezzi di uno Stato.

Il Messico è l’esempio più drammatico: ampie zone di Paese sono gestite dal sodalizio perverso formato da trafficanti e complici istituzionali. Come il Veracruz, nel sud-est, il cui ex governatore, Javier Duarte, è latitante per aver provocato, in combutta con il crimine organizzato, una bancarotta da 837 milioni di dollari. Lo scandalo ha travolto i vertici della società elettrica locale. Quest’ultima, per rifarsi delle perdite, ha fatto schizzare alle stelle il costo della corrente. In pratica, il conto – esorbitante – della gestione 'disinvolta' è stato presentato ai cittadini, in particolare ai più poveri, costretti a rinunciare alla luce. Tra i pochi che hanno denunciato coraggiosamente tale pratica c’è padre José Luis Sánchez, parroco di Catemaco. Al momento il sacerdote si trova in un luogo segreto per riprendersi dalle ferite lasciategli nel corpo e nello spirito dalle 48 di sevizie subite.

Nella notte tra il 10 e l’11 novembre, un commando con indosso le divise della polizia locale ha fatto irruzione in casa, l’ha catturato e portato via. Se padre José Luis è riapparso ancora in vita – seppure in pessime condizioni –, due giorni dopo, si deve alla furibonda reazione dei cittadini di Catemaco. Questi hanno letteralmente messo a ferro e fuoco la comunità. Una folla si è riversata per le strade esigendo il ritorno del parroco. Qualcuno, esasperato dall’impunità imperante – 98 delitti su 100 non vengono nemmeno indagati – è arrivato perfino a incendiare l’edificio del municipio. La gente ha minacciato di paralizzare ogni attività fin quando padre Sánchez non fosse stato ritrovato vivo. Per capire una tale ondata di rabbia, si deve comprendere il drammatico precedente del 18 e 19 settembre, quando nella vicina Poza Rica, sempre nel Veracruz, furono sequestrati e uccisi altri due sacerdoti: Padre Alejo Nabor Jiménez e padre José Alfredo Suárez. Fonti riservate hanno detto ad 'Avvenire' che i preti si erano rifiutati di assecondare i capricci di alcuni boss. Questi ultimi – come spiega il sociologo Rodolfo Soriano Nuñez – chiedono spesso celebrazioni speciali con cui mostrare il proprio potere alla comunità. Sempre per tale ragione, fu assassinato nel Guerrero, nel 2014, il missionario comboniano ugandese padre John Ssenyondo.

Anno dopo anno, si intensifica il processo di 'messicanizzazione' del resto dell’America Latina. I signori della droga tessono una rete 'immensa' in cui finiscono con il «cadere persone con incarichi di responsabilità nella società, nei governi, nella famiglia», ha detto papa Francesco ai 150 esperti riuniti per l’incontro su 'Narcotici: problemi e soluzioni di questa piaga mondiale', organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze, il 24 novembre. Chi prova a risalire la catena di distruzione degli stupefacenti per arrivare ai vertici «si ritrova con questa parola di cinque lettere: mafia. Ma seriamente», ha affermato Bergoglio. Perché se la droga-sostanza uccide i neuroni, la droga-commercio assassina chi contrasta il business. Ecco, dunque, ha sottolineato Francesco, per sconfiggere i narcos è indispensabile «risalire la catena che va dal commercio di droghe su piccola scala fino alle forme più sofisticate di lavaggio, che si annidano nel capitale finanziario e nelle banche». Un compito che spesso, nelle zone dell’America Latina in cui l’autorità statale è debole e la chiesa è uno dei pochi punti di riferimento per i cittadini indifesi, provano a svolgere coraggiosi sacerdoti. Come padre Sánchez. O padre Juan Viroche. A costo della vita. Della tranquillità. Della reputazione, infangata con false dicerie. Dell’accusa, dentro e fuori la Chiesa, di 'sconfinare' dal proprio ministero. È una battaglia impari e dolorosa. Eppure – ha ripetuto il Papa – non ci si può sottrarre. «Stiamo difendendo la famiglia umana», è in gioco il futuro di tutti.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI