sabato 13 settembre 2014
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Gentile direttore, ho letto con interesse su "Avvenire" di ieri, venerdì 12 settembre, la riflessione di Ferdinando Camon: abito infatti in una parte del Trentino interessata dal passaggio abituale dell’orso. Ho trovato l’articolo molto poetico, ma sono perplessa su un punto, cardine dell’intera argomentazione. La cosa che pare maggiormente preoccupare, e giustamente, lo scrittore è che vi sia stata una perdita dell’«arte di convivere con la Natura» e che, quindi, la morte di un orso non faccia parte di un abituale rapporto con una natura abitata da specie animali differenti (incluso l’uomo). Ho cercato un’epoca in cui il rapporto Uomo-Natura fosse inequivocabile e tanto armonioso da permettere all’uomo di vivere da uomo – nella sua naturale evoluzione – e all’orso di esplicare totalmente la sua natura (canrnova e selvatica) di orso. Sono rimasta quindi interdetta dalla mia impossibilità di stabilire tale epoca, posto che il Giardino dell’Eden non sia databile. Sin dalla comparsa del primo ominide, un rapporto con la natura che comportasse equilibrio e risultasse del tutto "naturale" mi sembra sia stato quello dell’uomo che si difende dall’orso e l’orso che si difende dall’uomo: la specie che riesce a non estinguersi si stabilisce in un territorio e prospera. Così si era configurato anche il territorio trentino, con la prevalenza dell’uomo sull’orso e la naturale estinzione di quest’ultimo. Però Camon ha ragione: qualcosa si è perduto. L’uomo contemporaneo, abituato agli zoo, ai documentari ecc., non capisce più la pericolosità dell’animale selvaggio, soprattutto con cuccioli. L’orso è stato reintrodotto in un territorio senza che la popolazione fosse stata adeguatamente formata: l’ufficiosa raccomandazione di non scappare e raggomitolarsi in posizione fetale in caso di prossimità dell’orso suona derisoria a un abitante preoccupato da continui avvistamenti e attacchi ad animali domestici (asini e maiali) a poche decine di metri da centri abitati anche non del tutto sperduti (come il mio, parte di un Comune di circa 8.000 abitanti). A mio avviso – io stessa non mi sento del tutto sicura nei "miei" boschi anche in pieno giorno – il vero modo di gestire il rapporto animale feroce-uomo in maniera intelligente è quello dei parchi naturali, in cui l’orso è libero di muoversi e mangiare ciò che vuole, senza rovinare l’economia locale (turismo e allevamento: i rimborsi provinciali per le razzie sono spesso insufficienti), in un territorio in cui le regole di convivenza sono chiare a tutti. L’amministrazione locale evidentemente non può o non vuole dichiarare ufficialmente l’orso specie pericolosa: quale famiglia in vacanza con figli piccoli si recherebbe mai in un luogo dove la naturale espansività dei piccoli umani potrebbe suscitare le reazioni di animali (feroci) spaventati? «Voi vivete secondo le vostre regole e noi vivremo secondo le nostre» (Camon) non esclude il fatto che un animale minaccioso, se non eliminato, almeno catturato. La Natura è sempre stata questa: lotta per il territorio e prevalenza di una specie sull’altra, ovviamente senza crudeltà, ma anche senza allarmismi e malintesi buonismi. Con stima.                                                              Maria Ganarini, Mori (Tn) Caro direttore, vorrei solamente fari i miei complimenti ad "Avvenire" per l’articolo di Ferdinando Camon sull’orsa Daniza. Un articolo che poteva scrivere solo chi ama Dio e la Creazione. Bravo Camon, bravo direttore.                                                                                    Mario Bertoni Caro direttore, la morte dell’orsa Daniza ha infiammato lo spirito animalista degli italiani. Il Web è in rivolta, al punto che taluni chiedono a gran voce le dimissioni del ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, in forma di espiazione. I movimenti politici d’opposizione, come la Lega Nord, cavalcando l’onda d’indignazione, si ergono quali portabandiera della protesta; una speculazione spicciola. Occorre accertare eventuali responsabilità e non iniziare una fantomatica caccia alle streghe; sparando indiscriminatamente nel mucchio. Emotivamente comprensibile l’indignazione della gente comune, deprecabili invece le invettive a sfondo politico. Intanto, alcuni social network invitano a boicottare il Trentino quale meta turistica (davvero non conosciamo le mezze misure). Serve un capro espiatorio da sacrificare all’altare dell’orsa, poco importa se esso sia il vero responsabile, l’essenziale è alzare un polverone mediatico. Naturalmente la dipartita di mamma orsa colpisce la nostra sensibilità e i risvolti psicologici ci riportano a una prima infanzia abbracciata agli orsacchiotti di peluche; il mio si chiamava Raul. Ricapitolando, è stato abbattuto un esemplare di una specie protetta con un anestetico risultato fatale, se esistono peccati di pressappochismo o di mala fede da parte degli operatori forestali dovranno essere accertati e perseguiti a norma di legge; evitando di perseverare in una sterile quanto opinabile speculazione politica.                                                                    Fabrizio Vinci, Messina Credo che le nostre sobrie cronache e il bellissimo commento di Ferdinando Camon possano aver aiutato chi lo ha voluto a tenersi lontano da speculazioni e follie (come l’allucinante idea di "boicottare" il Trentino). Ho intitolato quell’editoriale, anche presagendo gli effetti delle strambe bufere di parole che stavano montando, «L’orsa è morta e non siamo salvi». Ma mi devo correggere. Ricevo l’ennesima conferma di quanti nostri lettori hanno «occhi salvi». E constato ancora una volta che nei loro sguardi sanno comporre con profondità, rispetto e armonia diverse sfumature di giudizio. Siamo contenti che li condividano proprio con noi di "Avvenire".
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