giovedì 6 novembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Il consenso che si coagula attorno al capo del governo sta raggiungendo livelli fino a qualche tempo fa impensabili per qualsiasi leader politico. Al punto da spingere Matteo Renzi ad accelerare sulla via del bipartitismo. Ciò avviene nonostante che i dati reali della economia e della società non diano segnali apprezzabili di miglioramento. Anzi, negli ultimi mesi le cose sono, per certi versi, persino peggiorate. In questo momento, Renzi incarna infatti la speranza di un cambiamento. Anche se non è ben chiaro che cosa voglia fare e anche se ci sono dubbi sulle sue reali possibilità e capacità di governo, gli italiani pensano che il giovane primo ministro debba comunque "provarci".In realtà, al di là di Renzi, l’Italia cerca, ancora una volta, il suo baricentro, perso con il degrado della Prima Repubblica e l’avvento della cosiddetta Seconda. Il premier e segretario del Pd lo ha capito e, di fronte alla débâcle del centrodestra (che rimane ingabbiato nelle convenienze tattiche di Silvio Berlusconi), vuole approfittarne, puntando a occupare per intero questo baricentro. Se tale operazione dovesse riuscire, si aprirebbe davvero una stagione nuova. Con la possibilità per Renzi di incidere sul serio sul Paese.I fatti decreteranno, o meno, il successo di tale tentativo. Renzi non manca delle abilità politiche per farcela. Ma per riuscire nell’intento, non deve dimenticare quanto la storia insegna. Per diversi aspetti, quanto sta accadendo oggi in Italia altro non è che un ricorso storico. La politica italiana, dall’unità in poi, si è organizzata in cicli che hanno seguito un andamento molto simile: l’impossibilità di risolvere una crisi di sistema viene superata grazie all’avvento di un nuovo leader, capace di alimentare speranze di cambiamento. Ben presto, però, la spinta al rinnovamento, scontrandosi con la realtà di un mondo italiano paludoso e resistente, perde il suo dinamismo, virando verso l’arrocco che porta alla formazione di un sistema di potere chiuso, fino a diventare, esso stesso, un nuovo fattore di blocco. La degenerazione procede fino al punto da avvitare il Paese di nuovo in una crisi che viene risolta con l’avvento di un leader estraneo all’establishment. È successo con Giolitti, con Mussolini, con la Dc, ci provò Craxi, ci riuscì Berlusconi. E oggi tocca a Renzi. Detto che la valutazione storica di queste diverse figure non è la stessa, occorre però sottolineare la persistenza del modello. Il leader democratico non lo dimentichi: il gattopardo italiano vive esattamente di quel "tutto cambia affinché nulla cambi" di cui parla il principe di Salina. Cambiare la società italiana rimane un obiettivo molto difficile perché non basta agire in superficie. Aldilà della velocità di cui Renzi è capace, ci sono dimensioni storico-culturali che non possono essere tralasciate.Inoltre, il baricentro a cui punta Renzi è strettamente intrecciato con la radice cattolica. Parlo non a caso di radice e non di mondo per chiarire che la società italiana, nella sua profondità, persino al di là della appartenenza religiosa, è intimamente legata a questa cultura. Che, pur non essendo l’unica, rimane pur sempre la principale. Da uomo scaltro qual è, Renzi ha capito che non si tratta di rifare la Dc. Semplicemente perché la storia non si ripete mai allo stesso modo. Si tratta, piuttosto, di proporre un’idea di futuro che sia capace di interpellare e interpretare tale radice (proprio ciò che non sono stati capaci di fare il centrodestra e il centrosinistra della cosiddetta Seconda Repubblica che, nati in reazione alla Dc, condividevano il disegno di asservire tale baricentro ai propri disegni).Sappiamo anche che, sul piano europeo, facendo decollare la formula Socialisti&Democratici, Renzi non ha avuto esitazioni a entrare nel Partito socialista. Su cui, peraltro, sta esercitando una potente attrazione. Il che pone una domanda: Renzi pensa di essere in grado di traghettare la più importante formazione della sinistra europea dal radicalismo individualista a una nuova, originale e solidale forma di neo-popolarismo?Se questa è l’ambizione – e s’intuisce che è così – allora si deve concludere che il peggior nemico di Renzi può essere, oggi, Renzi. Cambiare la società italiana per davvero e non per finta e nel contempo contribuire in modo così importante a riconfigurare l’asse politico europeo (cosa possibile tenuto conto che siamo nel bel mezzo di una crisi storica) sono obiettivi titanici, che non possono poggiare sulle spalle di una persona sola. Per questo Renzi deve combattere con se stesso per cambiare, in corsa, la sua leadership. In un duplice senso.Primo: formare – in Italia e in Europa – una squadra, vera e non finta. Secondo: precisare il disegno e la strategia al di là della velocità e della tattica. In sostanza, solo se riuscirà ad andare oltre ciò che oggi i suoi detrattori – e non solo a torto – considerano proprio del "renzismo", l’opportunità storica che Renzi è stato capace di creare produrrà un risultato utile per questo Paese e per lo sviluppo politico della Ue. Se questa metamorfosi non ci sarà in fretta, la stella dell’attuale premier finirà per declinare malinconicamente. Un po’ come quella di Obama, che negli Usa è ormai invitato a stare alla larga dai comizi elettorali in corso per il rinnovo del Senato, in quanto "presenza non gradita". Renzi ha occhi per vedere e testa per valutare, e – checché ne dicano quelli che lui chiama «i gufi» – pare disporre anche della consapevolezza e della determinazione sufficienti per trovare il passo giusto e non solitario che assolutamente serve.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: