sabato 22 ottobre 2016
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Il gran nodo dei confini, delle identità e delle diversità L’ancora recente quindicesimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle di New York ha stimolato anche in Italia una serie di commenti e reazioni sul tema del terrorismo internazionale, animati in molti casi da ottiche diverse rispetto a quelle prevalenti negli ultimi mesi sul tema degli attentati nel cuore dell’Europa e legate al futuro dell’Unione Europea e alle connessioni con i flussi migratori irregolari di migranti. Ad esempio sono stati sollevati seri interrogativi, puntualmente confermati dai pesanti fatti di cronaca in Minnesota e a New York, in merito alla presunta sconfitta negli Usa del pericolo terroristico. Senza entrare nel merito di questioni lontane da noi, viene spontaneo chiedersi se sia plausibile pensare che il campo di azione si sia davvero spostato dall’America all’Europa, e quanto contino nello sviluppo della situazione in ambito europeo rispettivamente le dinamiche geopolitiche mondiali e le problematiche interne all’Europa stessa, dalla Brexit, alla costruzione di 'muri' e alla ricostruzione delle frontiere per arginare i flussi irregolari, all’integrazione degli stranieri, al disagio sociale, alle diseguaglianze economiche e al dialogo etnico-religioso. Da un punto di vista mondiale si impongono il tema dei confini, politici ma anche culturali, e quello a esso strettamente legato dell’identità. Che tipo di identità hanno in prevalenza oggi i popoli e gli individui? Locale, nazionale, federata, globale? Si sta andando verso una «identità plurima» e «poliglotta», in tutti i sensi, dal linguistico al comportamentale, al valoriale? E ciò avviene nel rispetto della diversità e con consapevolezza delle implicazioni e dei rischi? In tema di confini, l’alternativa tra allargare e chiudere le frontiere, dalla nazione alla macroregione, al continente, al mondo, e viceversa, sembra essere ormai scavalcato da una 'apertura senza confini', che caratterizza la cosiddetta globalizzazione, e che viviamo tutti ogni giorno nella comunicazione, nei consumi, nel lavoro. L’ipotesi delle macroregioni e delle aggregazioni sovranazionali – di cui quella europea, ma anche quella mediterranea sono tra le più interessanti – ha allora ancora un senso? I recenti avvenimenti della Brexit e dei 'muri' hanno portato alla luce le contraddizioni insite nel processo di superamento dei confini. Come ha scritto recentemente lo storico geopolitico Manlio Graziano: «Sotto i confini del Vecchio Continente riaffiora l’antica eredità di alcuni blocchi geopolitici rivali: carolingio, mediterraneo, bizantinoottomano, prussiano, asburgico. E poi quello britannico (...) Il passato rimosso ora torna a premere (come al Brennero), con effetti centrifughi che ricordano la dissoluzione della Jugoslavia di Tito». Una argomentazione interessante rispetto alla fenomenologia del 'chiudere le porte ai diversi'. Da un punto di vista europeo si impone la questione dei valori sottostanti il processo di integrazione europea e il rapporto tra Europa e mondo, in particolare il mondo dei più poveri. Un’altra rievocazione recente, quella di Altiero Spinelli e del Manifesto di Ventotene, ci fa riflettere su uno dei punti principali di quel documento e della azione politica di Spinelli, Rossi e Hirschmann per una Europa unita: il superamento degli egoismi e delle chiusure nazionali attraverso una unione sovrannazionale e di continente. E ci si chiede che fine abbiano fatto quei princìpi. La sensazione che si ha è che vi sia un evidente collegamento tra tutti i temi citati, ma al tempo stesso che il radicalismo che sta alla base di un certo terrorismo abbia molto a che vedere con i nostri problemi interni in ambito europeo, e in particolare con il disagio giovanile e la difficoltà a gestire i «meticciati culturali» che la globalizzazione crea, e con la perdita dei riferimenti ai valori positivi di stampo sociale, umano e spirituale. Questo spiegherebbe sia il fenomeno della «islamizzazione del radicalismo», da alcuni indicato come valvola di sfogo di drammi che hanno origine in Europa e nelle sue aree di maggiore emarginazione, sia quello dei cosiddetti foreign fighters.  In altre parole, accanto ai fattori esogeni del terrorismo internazionale in Europa, non vi è dubbio che le questioni sociali, la disoccupazione, le disuguaglianze crescenti meritino maggiore attenzione, e assieme a esse i rischi derivanti da un appannamento delle certezze rispetto a temi fondamentali, come quello dei diritti umani e della necessità di studiare e promuovere politiche fondate sul bene delle comunità, sull’umanità e sulla valorizzazione dei valori positivi. Tutte realtà e riferimenti che pure esistono, ad esempio all’interno di movimenti trasversali e reti sociali, che rimangono però per lo più sottotraccia e senza diritto di cronaca.
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