mercoledì 25 giugno 2014
​Sostenere i progetti di Francesco per le periferie del mondo.
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«Non dimenticarti dei poveri». Le parole del cardinale Claudio Hummes al momento dell’elezione di Papa Bergoglio, quelle parole che – per sua stessa ammissione – gli hanno ispirato la scelta del nome – Francesco, «l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato» – sono diventate anche il programma pastorale del Pontefice «preso quasi dalla fine del mondo». Francesco non si è dimenticato dei poveri. Anzi li ha resi visibili, li ha portati per così dire dalle periferie al centro dell’attenzione generale. E lo ha fatto in tutte le occasioni possibili.
È andato a trovarli a casa loro nella favelas di Rio de Janeiro, come al centro Astalli per i rifugiati, nel cuore di Roma. Ha ripetutamente levato la sua voce in loro difesa, come a Lampedusa, e compiuto gesti memorabili come la lavanda dei piedi del suo primo giovedì santo da Papa nel carcere minorile di Casal del Marmo. Ha reclamato il diritto al lavoro per i disoccupati e per i giovani (altre due categorie oggi a rischio povertà), ha invitato a colazione a Santa Marta (il giorno del suo compleanno) alcuni senza fissa dimora. Ha pranzato con i più svantaggiati (come è avvenuto da ultimo sabato 21 giugno a Cassano all’Jonio) e mandato più volte in missione l’elemosiniere monsignor Konrad Krajewski, per portare aiuti concreti e vicinanza nella preghiera a chi si trova in situazioni di bisogno. Si è impegnato concretamente per la pace (iniziativa di preghiera per la Siria, invito in Vaticano ai presidenti di Israele e Palestina), ricordando a tutti che la guerra, oltre a portare morte e distruzione, è causa anche di nuove povertà. Ha infine dato impulso alla custodia del creato, perché da un cattivo rapporto con la natura derivano conseguenze notevoli anche sul piano economico, come ben sanno ad esempio gli abitanti dell’Africa subsahariana a rischio di desertificazione.
«Non dimenticarti dei poveri». Il programma pastorale del Papa è anche un potente invito a fare altrettanto. E a fornirgli i mezzi per continuare a metterlo in pratica. L’Obolo di San Pietro risponde proprio a tale scopo. Tecnicamente, come afferma il sito ufficiale della Santa Sede, esso è «l’aiuto economico che i fedeli offrono al Santo Padre, come segno di adesione alla sollecitudine del Successore di Pietro per le molteplici necessità della Chiesa universale e per le opere di carità in favore dei più bisognosi». Una tradizione che nasce in ambito anglosassone nell’VIII secolo e che Pio IX confermò con l’Enciclica Saepe venerabilis del 5 agosto 1871. Così il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, è anche il giorno deputato alla raccolta. O, come l’hanno definita i vescovi italiani, Giornata per la carità del Papa. Giovanni Paolo II nel 2003 annotava: «Vi sono note le crescenti necessità dell’apostolato, i bisogni delle comunità ecclesiali specialmente in terra di missione, le richieste di aiuto che giungono da popolazioni, individui e famiglie che versano in condizioni precarie. Tanti attendono dalla Sede Apostolica un sostegno che spesso non riescono a trovare altrove. In quest’ottica, l’Obolo costituisce una vera partecipazione all’azione evangelizzatrice, specialmente se si considerano il senso e l’importanza di condividere concretamente le sollecitudini della Chiesa universale». E Benedetto XVI nel 2006 aggiungeva: «L’Obolo è un gesto che ha valore non soltanto pratico, ma anche fortemente simbolico, come segno di comunione col Papa e di attenzione alle necessità dei fratelli». Del resto, come insegna anche il catechismo, la base primaria per il sostegno della Sede Apostolica dev’essere costituita dalle offerte date spontaneamente dai cattolici di tutto il mondo, ed eventualmente anche da altre persone di buona volontà. Questo corrisponde alla tradizione che ha le sue origini nel Vangelo (Lc 10,7) e negli insegnamenti degli Apostoli (1 Cor 9,11).
Francesco, con i fatti prima ancora che con le parole, si è incamminato in questa direzione e continua sulla scia dei suoi predecessori, offrendo nuovi spunti di riflessione. In questo primo scorcio del suo Pontificato ha indicato chiaramente le tre linee sulle quali intende muoversi: vicinanza a tutte le periferie dell’esistenza, promozione della pace, salvaguardia del creato. L’Obolo, cioè l’offerta che ogni fedele verserà direttamente il 29 giugno, oppure aderendo ad iniziative come quella di Avvenire (l’intero ricavato delle copie vendute quel giorno confluirà nella raccolta), costituisce dunque un modo concreto per avallare e fare proprio il programma del Papa. Come viene impiegato infatti il gettito di questa colletta su scala planetaria? Aiuti a vittime di guerre e disastri naturali, profughi e migranti; sostegno a diocesi in via di costituzione e ad alcuni centri di educazione cattolica, borse di studio, villaggi per i ragazzi rimasti orfani per genocidio o guerra oppure per gli orfani dell’Aids in Africa, ospitalità e assistenza per i pellegrini disabili, strutture sanitarie nei luoghi sprovvisti di ogni presidio di questo genere sono solo alcune delle tipologie di intervento. Nel 2012 (i dati relativi al 2013 non sono stati ancora resi noti) l’Obolo ha permesso di agevolare il rimpatrio dei rifugiati angolani provenienti dallo Zambia e dalla Repubblica Democratica del Congo; in Bangladesh, ha dato aiuto a migliaia di famiglie di diverse diocesi duramente colpite dalle inondazioni; nella Repubblica Democratica del Congo, ha contribuito alla costruzione di una scuola, intitolata Ecole de la dernière chance, e destinata all’educazione di ragazzi e ragazze appartenenti alle classi sociali più svantaggiate della diocesi di Lwiza; in Etiopia e in Kenya, ha permesso di soccorrere le popolazioni coinvolte dall’emergenza umanitaria nel Corno d’Africa; in India, ha finanziato la formazione informatica di ragazzi di condizione svantaggiata, talora "fuori casta", facilitando il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Inoltre, tra le opere realizzate negli anni anche grazie all’Obolo, figurano il Villaggio Città dei Ragazzi "Nazareth" a Mbare (Ruanda), l’Ospedale San Vincenzo de’ Paoli a Sarajevo, il Villaggio per gli orfani dell’Aids in Kenya, l’Ospedale Redemptoris Mater in Armenia. E dall’Obolo vengono sostenute anche le attività della Fondazione Populorum progressio per i contadini e gli indigeni dell’America Latina e della Fondazione "Giovanni Paolo II" per il Sahel. Ora l’esempio di Papa Francesco chiede uno scatto in avanti. Anche perché negli ultimi anni, a causa della crisi, le offerte sono state in calo. In realtà, l’andamento era stato buono fino alla metà dello scorso decennio. Tra il 2005 e il 2007 il gettito era passato da quasi 60 milioni di dollari Usa a quasi 80 milioni. Ma da quell’anno, pur con qualche eccezione, la tendenza è stata al ribasso. 75,8 milioni nel 2008, 69,7 milioni nel 2011 e 65,9 milioni nel 2012, ultimo anno di cui si dispongono i dati. L’Italia è tradizionalmente tra le nazioni che – insieme con Stati Uniti e Germania – contribuiscono di più. Il 29 giugno è l’occasione per confermare e rafforzare questa tradizione. Per non dimenticarsi dei poveri.
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