sabato 6 settembre 2014
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Le espressioni di «vicinanza e stima» da parte della Presidenza della Cei a don Luigi Ciotti, a seguito delle minacce di morte pronunciate da un tristemente noto capomafia, vanno oltre e più in profondità di un riconoscimento a un sacerdote esposto in prima linea nel contrasto all’illegalità e alla criminalità. È una profondità e un oltre di significato e spessore teologico, che collega l’impegno sociale e di frontiera di don Ciotti alla missione salvifica della Chiesa, di cui ogni sacerdote è ministro. «La denuncia seria, attenta, documentata – ha puntualizzato il Comunicato della Cei, citando Papa Francesco – è annuncio di salvezza».  Precisazione che, da una parte, sottrae la salvezza a una percezione e fruizione individualistica e spiritualistica («la salvezza dell’anima mia»). Dall’altra ne riconosce la forza liberatrice a ogni livello, ambito e condizione del vissuto umano. Per tanta parte questo vissuto è nella società e nella città, e oggi in modo sempre più interdipendente e globale.  Per cui è lì che la salvezza deve raggiungere l’uomo destinatario. Non solo come annuncio, ma anche come denuncia. Lo insegna senza soluzione di continuità la dottrina sociale della Chiesa. Non c’è annuncio dell’amore redentore di Cristo senza denuncia del male che lo contrasta.  Questo male prende forma strutturale (struttura di peccato) nell’ingiustizia, nell’illegalità, nella criminalità, nella corruzione, nel degrado, che allignano nella societas e nella civitas, aggiogando uomini e donne al potere del più forte. Assai spesso in un determinismo avvilente – un 'non poter essere altrimenti' – che spegne la fiducia e chiude le porte alla speranza. La risposta a questo avvilimento non è una responsabilità soltanto morale di denuncia e di giustizia sociale. È un compito evangelico di liberazione, che iscrive l’impegno per la giustizia e la promozione sociale nella fedeltà a Cristo Redentore e nella testimonianza del Vangelo della carità. Nella fedeltà a Cristo Redentore, che si è chinato su tutte le miserie e le ingiustizie sofferte dall’uomo per un’umanità libera nella giustizia e nell’amore. Nella testimonianza del Vangelo della carità, che chiama a una prassi non meramente interindividuale e privata dell’amore del prossimo, ma sociale e politica in ordine al bene comune: il bene del 'noi tutti' che persone, famiglie e gruppi formano unendosi in comunità socialmente e politicamente istituite.  Come richiamavano gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana per gli anni 90 – «Evangelizzazione e testimonianza della carità» – il Vangelo della carità si annuncia attraverso il vissuto di carità. Vissuto non limitato all’aiuto spontaneo e solidale del povero e del bisognoso, ma aperto alla polis, alle possibilità istituzionali e strutturali da essa offerte per aggredire in radice le povertà e istituire il diritto e la giustizia, che della carità sono «la prima via» (Benedetto XVI), «la misura minima» (Paolo VI). Il che non significa politicizzare il ministero della carità, in particolare quello del pastore, per il quale la legge della Chiesa fa divieto di 'fare politica', nel senso di prendere partito, diventando 'uomo di parte' e confondendo il potere (sacramentale) di ordine con il potere (politico) di governo. Significa piuttosto assumere la polis e con essa il bene comune, la legalità e la promozione umana alle responsabilità ministeriali della carità. Per cui il sacerdote non solo non aliena la natura pastorale del suo ufficio, ma dà all’impegno per la polis significato e credibilità pastorale. In particolari situazioni d’illegalità e asocialità, di emarginazioni e soprusi, di piegamento del bene comune a interessi di parte, quando la denuncia si fa più forte e l’onere più sofferto, tale impegno diventa 'di frontiera'.

«Anche a costo della vita – nota il Comunicato della Presidenza Cei –. Come è dimostrato dal beato don Puglisi e da don Diana, insieme a tanti vescovi e preti che, per lo più nell’anonimato, continuano a lavorare per una società più umana, secondo il Vangelo di Gesù Cristo». Per questo riconoscimento di senso e di valore, la Chiesa tutta in Italia – scrivono i vescovi – si sente «a fianco di don Ciotti, per la legalità» e «rinnova l’augurio che – sul suo esempio – si trasformino luoghi e situazioni di violenza e di morte in contesti ed azioni di vita nuova e di speranza». Cosa questa che non solo sottoscrive «l’incompatibilità senza remore – dichiarata da Papa Francesco – tra mafie e Vangelo», ma chiama e incoraggia tutti – pastori e fedeli – a farsi carico del sociale, a portare la forza liberatrice del Vangelo e il fermento unitivo della carità nella società e nella città dell’uomo.

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