domenica 11 settembre 2011
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«Yen 121.74/82 +081, Eur 0.8967/72 -014, Usd 114.91 +013», diceva un sms, uno dei tanti pubblicati da Wikileaks, indirizzato a qualcuno nel World Trade Center alle 8 e 26 di quel mattino di dieci anni fa – quando ancora sembrava un giorno come gli altri. I tassi del cambio, forse, per un manager della Cantor Fitzgerald, banca di investimenti orgogliosamente insediata in cima al Wtc1, dal 101esimo al 105esimo piano. Perché in quel mattino d’inizio settembre la vita degli uomini nelle Twin Towers si dipanava banale: «Ha chiamato sua moglie, la richiamerà dopo il golf», dice un sms delle 8 e 32. Un altro, alle 8 e 36: «Non vedo l’ora di vederti…». «Il dottor Aagesen è bloccato nel traffico e farà tardi per la riunione delle 9», 8 e 41. 8 e 42, «Benny ha chiamato, non sta bene, oggi non viene». Ma il più struggente è quello delle 8 e 34: «Oroscopo. Cancro. Siate voi stessi. Realizzatevi pienamente in ogni settore della vostra vita». Poi, dalle 8 e 46 minuti, è storia: tutti abbiamo visto, tutti sappiamo.L’ordinarietà delle parole e dei gesti, fino a un istante prima, turba chi si sofferma a pensarci quasi altrettanto che la tragedia consumata sotto agli occhi del mondo. Perché quelli delle Torri, fino alle 8 e 46, siamo noi. Noi in ritardo nel traffico dell’ora di punta, noi col pensiero alla Borsa fin dal primo mattino, o disposti ad ascoltare poveri oracoli che per pochi centesimi profetizzino una felice giornata. Ci pare di vederla questa normalità, nei corridoi, sugli ascensori del Wtc, uguale a migliaia di altri uffici. Saluti e passi che si ripetono ogni mattina. Battute, caffè, chiacchiere; sguardi, amori, o tenaci avversioni per il vicino di scrivania – gli uomini uguali, nel cielo sopra New York come in un borgo delle nostre campagne.8 e 46. E l’assurdo, l’inconcepibile accade. Tanto inconcepibile che per lunghi minuti le agenzie, le tv balbettano: «pare», «sembra», battono attoniti i primi dispacci, che «un aereo si sia schiantato sulle Torri». Noi, muti davanti agli schermi. Non solo per la tragedia in diretta; ma anche perché in quel fumo, in quel panico c’è gente come noi, gente del "primo" mondo, cresciuta in 50 anni di pace, e fiduciosa in tutte le dichiarazioni di diritti, in tutte le convenzioni internazionali del dopoguerra; noi, certi che la pace, per l’Occidente, sia conquistata per sempre.Che schiaffo, che pugno nello stomaco. Questa è guerra, ci siamo detti quel giorno, anche se nessuno l’ha dichiarata. Questo è un organizzato terrore che ha sviluppato le sue trame, come un tarlo, dentro alla vita quotidiana. Colpiti anche noi, nelle nostre case: l’apocalisse piombata sul nostro alveare affaccendato e distratto. Mai, da tanto tempo, con tanta evidenza siamo stati richiamati – certi come eravamo che la pace fosse un ovvio diritto – alla potenza dell’odio, alla bestiale cecità del male.«Tesoro, buongiorno. Sto pensando a te». «Maria, puoi controllare il funzionamento di quelle stampanti?». «Scorpione. La luna addolcirà la vostra giornata…». Poi l’apocalisse che irrompe fra gli schermi azzurrini dei pc. E ci diranno, forse, che in fondo quel giorno il mondo non è cambiato poi di tanto. Ma per noi della generazione che la guerra l’ha conosciuta solo sui libri, le 8 e 46 di quel mattino restano l’attimo dello sbalordimento: ogni proliferazione del male è possibile, ancora. Nessun progresso o affermazione di diritti o solenne convenzione può garantirci. Nel più moderno e orgoglioso dei mondi, mentre i telefoni squillano, le segretarie rispondono, e sugli schermi i titoli della Borsa scorrono in falangi disciplinate, l’odio può scoppiare come una bomba, atroce, improvviso. Ma, se non basta alcuna legge, o forza, o minaccia, cosa dunque ci libererà dal male?Davanti a quelle rovine fumanti, nella polvere, il gesto più ragionevole sarebbe stato fermarsi e recitare, con le mani aperte e vuote verso il cielo, un Padre Nostro – calcando, adagio, sulle ultime parole.
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