giovedì 29 aprile 2010
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Dopo l’ulteriore crescita della Lega al Nord e gli avamposti conquistati nelle antiche "regioni rosse" appenniniche, dopo l’esplosione dell’astensionismo, era pressoché inevitabile che nel Mezzogiorno si tornasse a parlare di "Partito del Sud". Il primo a ipotizzarlo, lo ricordiamo, è stato il governatore della Sicilia, Raffaele Lombardo, ma nei mesi scorsi tanti esponenti della politica meridionale, da Gianfranco Micciché ad Adriana  Poli Bortone lo hanno più volte evocato. Ora è la volta di alcuni intellettuali che rilanciano il tema, pur da prospettive totalmente diverse.Mario Centorrino, ad esempio, dalle colonne del "Corriere del Mezzogiorno", ha lanciato la pietra nello stagno: «Doppia tessera, sul modello radicale, e partiti territoriali autonomisti favorevoli al permanere dell’unità nazionale, come, ad esempio, la grande maggioranza dei Partidos de Ambito no estatal spagnoli». Ma ciò che più conta nell’analisi di Centorrino al quale dobbiamo, come studioso, i conti in tasca alla mafia imprenditrice, è il suo farsi voce di un disagio palpabile in alcune aree del Mezzogiorno e che lui esprime con parole molto forti: «Quando penso al federalismo all’olio di ricino che ci vuole propinare la Lega…». Il cuore del ragionamento dell’economista è che «l’egemonia del Nord», già manifestatasi con lo spostamento di due miliardi di euro destinati alle infrastrutture nelle aree deboli del Sud per l’abolizione dell’Ici e i tagli ai Fas serviti a «finanziare gli ammortizzatori sociali, la ricostruzione in Abruzzo, i battelli pubblici sui laghi Maggiore e Garda», siano solo il sintomo di un «federalismo fiscale punitivo e non solidale verso il Meridione».Un’analisi severa, alla quale replica per primo il sociologo torinese Luca Ricolfi, autore del fortunato saggio "Il sacco del Nord" nel quale ha denunciato come ogni anno oltre 50 miliardi di euro vengano trasferiti dal Nord al Sud, senza che questo comporti un aggancio del Mezzogiorno alle aree più sviluppate. Con le inevitabili domande sugli eccessi di spesa pubblica, di evasione fiscale e di inefficienza dei servizi. Una denuncia che ha fatto sobbalzare in tanti e che a lui fa dire che un eventuale "Partito del Sud" dovrebbe «accettare la sfida del federalismo, impegnarsi nella gara a chi sa amministrare meglio, cercare di far venire allo scoperto le energie del Mezzogiorno» e soprattutto non dare vita «all’ennesima edizione del partito della spesa».Ci sono poi i dubbi di Gianfranco Viesti, l’economista barese già assessore nell’ultima giunta Vendola che non vuole neanche sentir parlare di "Partito del Sud". E precisa: «Alla questione della Lega si può rispondere solo con un progetto politico nazionale». E ancora: «Ci aspettano anni terribili, perché il Sud sarà attaccato su tutti i fronti… ci vuole più uno schieramento politico che territoriale, capace di incardinare lo sviluppo del Sud nel proprio programma nazionale».Visioni dunque molto distanti tra loro che hanno però in comune una certezza: le vecchie classi dirigenti meridionali devono fare un passo indietro e il nuovo che nascerà, si tratti di un "Partito del Sud" o di una diversa e migliore collocazione dello sviluppo meridionale nella scala delle priorità dei partiti nazionali, dovrà assumersi la responsabilità di rispondere in prima persona dell’eventuale malgoverno. Secondo lo schema di un federalismo fiscale che operativamente sembra ormai davvero alle porte. Ma un federalismo solidale sul quale si sono espresse voci autorevolissime come quelle dei vescovi italiani nel recente documento "Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno" e lo stesso presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, a più riprese, lo ha indicato come una condizione indispensabile per salvaguardare l’unità nazionale. Sul tasso di solidarietà del federalismo fiscale ci sarà, dunque, da lavorare. Questo sarà il terreno per valutare il tasso di credibilità delle nuove classi dirigenti meridionali che vogliono tutte, almeno a parole, lasciarsi alle spalle il malgoverno, l’inefficienza e lo spreco delle risorse pubbliche.In ogni caso, non è mai utile sottovalutare quello che cova nella pancia del Paese, a cominciare dal dispiegarsi della strategia "nazionale" e non più solo localistica della Lega, destinata a cambiare i parametri di riferimento della politica. Di sicuro, per i partiti nazionali, a destra e a sinistra, come al centro, si impone una riflessione sul loro insediamento nel Mezzogiorno. È impensabile continuare a utilizzarlo solo come un serbatoio di voti da manovrare. Sarebbe un suicidio annunciato.
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