sabato 23 gennaio 2021
Noi Sessantottini non siamo fantasmi né mendicanti di vaccini» protestano tre lettori. Ma ciò che è sfumata è la memoria di un periodo, sostiene Corradi, di grandi battaglie e sbagli
Milano, il ricordo di una stagione d'impegno, errori e sogni

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Caro direttore,
vorrei dialogare con Marina Corradi dopo aver letto la sua rubrica intitolata “Fantasmi”. E vorrei dirle che tutti noi, ragazzi del ’68, avevamo la vita in mano tra rivolta e utopia, intesa, etimologicamente, come “luogo che non c’è” e quindi luogo da costruire. Molti di noi hanno scelto la scuola come posto in cui costruire questo luogo, altri il sindacato, altri la politica, altri si sono smarriti e hanno creato formazioni terroristiche. Ma anche lo Stato, purtroppo, ha seminato terrore e ucciso innocenti e la politica ha perso un’occasione per rigenerarsi. La nostra era una richiesta di cittadinanza, di partecipazione. Questo ha fatto paura ai potenti. «Libertà è partecipazione», cantava Giorgio Gaber. Amavamo le canzoni di Fabrizio De André, di Joan Baez, di Bob Dylan, di John Lennon. Libri amati “L’uomo a una dimensione”, di Marcuse; “Lettera a una professoressa”, di don Lorenzo Milani, i “Discorsi” di Martin Luther King, “Vogliamo un mondo più nuovo” di Bob Kennedy; la Costituzione Italiana; alcuni documenti del Concilio Vaticano II. Ci affascinava la figura del “Che”. Io scelsi la scuola e ancora oggi ho contatti con i miei ex allievi e allieve. Oggi mi servo anche di questo strumento elettronico per insegnare. Quanto al vaccino aspetto il mio turno senza fare fila. Quello antinfluenzale l’ho fatto dalla mia dottoressa di base che mi ha telefonato per avvisarmi. Provo tristezza per i giovani di oggi perché privi di guide affidabili, spesso in balìa di se stessi. Ho appena letto su di loro un interessante articolo di “Avvenire” che si conclude con una terapia vecchia come il mondo: fare esperienza di comunità per contrastare la dominante cultura individualista che sta distruggendo la nostra umanità e an- che il Pianeta che ci ospita. Grazie per i suoi articoli, cara Marina. Li condivido e li diffondo. Le assicuro che non sono un fantasma.

Giovanni Corallo Corsico (Mi)

Caro direttore,
io e mio marito siamo una coppia di “fantasmi” . E vorremmo rivolgerci direttamente a Marina Corradi. Comincio con un «Carissima Marina»... M permetto di chiamarla così perché la seguo da tantissimo tempo e ho sempre apprezzato il suo modo di scrivere. Ma stavolta no! Sono indignata e arrabbiata. Credo di aver capito il senso del suo pezzo (anche loro, giovani e belli, ora... mendicanti di vaccino!). Nel ’68 io frequentavo la Cattolica, al tempo di Capanna, ma anche di Reale, Severino, Bontadini; mio marito studiava a Pavia e faceva parte di quella gioventù che andava nelle fabbriche, ma si guadagnava anche la borsa di studio, studiando di notte. È vero, ora abbiamo «capelli bianchi e rughe sul viso», ma non siamo... mendicanti di vaccino. Io continuo a fare la maestra anche se in pensione (doposcuola, insegnamento lingue straniere...), mio marito ha accettato di fare il sindaco quando tutti si tiravano indietro. Ma le scrivo non per noi, bensì per quei tanti ultrasettantenni che lavorano in Parrocchia, alla Caritas, alla San Vincenzo o, semplicemente (!?) fanno i nonni ai tempi della DaD. Tra di loro ci sono anche alcuni dei sognatori del ’68 che non si rassegnano ad essere “fantasmi”, ma si ostinano a credere “di avere la vita tra le mani”. Grazie per l’attenzione. Buon lavoro!

Piera Taiana con Giovanni Pagani Appiano Gentile (Co)

Prima di tutto, gentili lettori, vorrei cercare di chiarire un equivoco. Gli ex ragazzi del ’68 non sono affatto “fantasmi” nella realtà. Con questa espressione mi riferivo alle immagini che mi si presentano davanti agli occhi nella Milano semideserta del lockdown, la sera, camminando sovrappensiero. È così trasfigurata questa Milano vuota, che la memoria mi riporta alla città viva, battagliera, anche drammatica e violenta degli anni Settanta: quando le strade erano invase da cortei, quando quei ragazzi più grandi di me erano un tumulto di energia, di rabbia, di speranze e di sogni. Io, bambina, li guardavo con un’infantile ammirazione, non capendo ancora niente della loro rivolta, ma invidiando confusamente la loro passione e la loro libertà. Ricordo le ragazze con le chiome lunghe sciolte, accanto ai maschi, apparentemente uguali: mi sembravano così belle, e credevo che sarebbero state, come cantava Dylan, «giovani per sempre». Fantasmi, dunque, i sessantottini, solo nei miei pensieri di milanese a capo chino, nei giorni del Covid. Una generazione invece che, nel bene e anche negli errori, secondo me non pochi – penso alla svalutazione del matrimonio, alla libertà d’aborto –, ha segnato e diviso il Novecento in un “prima” e “dopo”. Una generazione che aveva ideali, belli o sbagliati, ma che ci credeva, combatteva, viveva. E sono d’accordo col professor Corallo: anche io, guardando alla passività di certi adolescenti di oggi, sono rattristata, e mi domando dov’è l’energia della loro giovinezza, e che cosa hanno sbagliato con loro, gli adulti. Quanto alla parola «mendicanti», è un’espressione troppo forte, e me ne scuso. Ci sono persone anche giovani che pagherebbero una cifra per il vaccino, e anziani del tutto sereni. Però proprio la generazione dei sessantottini – la prima vaccinata nel Dopoguerra, la prima curata con gli antibiotici fin dall’infanzia – è fortemente esposta alla minaccia del Covid, e attende di esserne messa al riparo (forse la generazione che ha contestato tutti i poteri dominanti non avrebbe mai immaginato di dover temere la forza della natura stessa, rivolta contro gli uomini). Mendicanti, capisco che la parola possa ferire. Tuttavia, cristianamente parlando, non è offensiva: tutti in fondo siamo mendicanti in questa vita, almeno quando scopriamo che non bastiamo a noi stessi, che abbiamo bisogno di Cristo. Infine, vorrei dire ai lettori che ho voluto bene a quei ragazzi più grandi di me, che volevano cambiare il mondo, indipendentemente da quanto ci siano riusciti. E che stimo particolarmente quelli di loro che hanno insegnato e insegnano – per me, è il mestiere più importante. Una sola obiezione a Piera e Giovanni: la vita davvero è «nelle nostre mani?». Certo siamo liberi, scegliamo, combattiamo, ed è un dovere. Eppure per me la mia vita non è “nelle mie mani”. Se può essermi tolta in un istante, come è possibile che sia “mia”? La svolta, per me, è stata concepire la vita mia, e dei miei figli, nelle mani di Dio. Da allora, sono un po’ più in pace.

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