sabato 17 marzo 2012
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Le notizie apparse sui giornali negli ultimi giorni dovrebbero aver reso chiaro, una volta di più, che non si può escludere la biopolitica dall’agenda pubblica. Possono cambiare le priorità economiche e le maggioranze parlamentari, gli obiettivi e i programmi dei governi, ma i cosiddetti temi etici, cacciati dalla porta, rientrano subito dalla finestra. Piaccia o meno, siamo nel tempo della questione antropologica, impossibile da eludere, come ha scritto papa Benedetto XVI nella «Caritas in veritate». Invece gran parte dei politici, anche cattolici, considera i temi etici come occupanti abusivi di un territorio che non è il loro: cosa c’entrano la vita, la morte, la scienza, la genitorialità, con gli equilibri tra i partiti, il linguaggio cifrato della politica, le alchimie elettorali? Ma il tentativo di lasciare questi temi ai margini non ha successo. Le questioni etiche si infiltrano nell’agenda pubblica entrando da mille spiragli: in primo luogo attraverso le sentenze della magistratura, italiana o europea, e poi grazie ai protocolli e alle prassi mediche, al dibattito accademico, alle risoluzioni degli organismi internazionali, e in genere alle opzioni offerte dalle innovazioni tecnoscientifiche, che creano nuovi mercati e nuovi poteri economici. Questi argomenti sono certamente l’ultima cosa che il governo Monti vuole affrontare, dato il loro potenziale divisivo; però ignorarli o dribblarli non sarà facile, e non lo si potrà fare a lungo. La cronaca della settimana è esemplare: prima la risoluzione del Parlamento europeo contro le definizioni “restrittive” di famiglia; poi la notizia del bimbo inglese affidato dai giudici a tre genitori, tutti omosessuali; e ancora la sentenza della Cassazione sulla trascrizione dei matrimoni gay. Il tutto, dopo un’incandescente polemica accademica sulla possibilità di uccidere i neonati, e in attesa che la Corte Costituzionale si esprima sulla procreazione assistita eterologa. Eppure pochi giorni fa, quando il segretario del Pdl Angelino Alfano ha richiamato l’attenzione sul rischio che a sinistra si coltivino ideologie «zapateriste», c’è stato chi ha ritenuto l’accenno furbesco e fuori luogo, come se, in un clima finalmente meno litigioso e intossicato, si volessero per forza introdurre elementi di conflitto, a fini elettoralistici. Ma i temi etici non sono «una clava», come spesso si sente dire, bensì semplicemente fatti su cui è giusto dare un giudizio, aprire un dibattito, avere opinioni e proporle con chiarezza. In un clima di discredito della politica, sembra quasi che ribadire la propria piattaforma di valori non possa che essere strumentale. E invece proprio in momenti come questi – in cui il quadro antropologico sta cambiando con enorme rapidità e si tenta di introdurre nell’ordinamento giuridico orientamenti culturali che non appartengono alla nostra tradizione cristiana e anche solo civile (basti pensare alla famiglia come è definita nella nostra Costituzione) – è necessario che ogni persona impegnata politicamente dichiari a quale concezione di persona e di società fa riferimento quando compie scelte politiche e di governo. Altrimenti sono sempre possibili scivolate inconsapevoli, come quella compiuta dall’attuale governo sulla modifica dei cognomi (una donna divorziata potrà, per esempio, aggiungere al nome del padre naturale dei propri figli quello del nuovo marito), ritenuto – credo in perfetta buonafede – solo un atto di semplificazione burocratica.
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