Doveva essere ben pesante la bara di cipresso e zinco, a giudicare dalle facce provate dei quattordici sediari che la reggevano sulle spalle, portandola lentamente dalla Basilica alla piazza. E lo sapevamo, che in quella bara stava Francesco, il volto coperto da un lembo bianco - il segno definitivo della morte. Eppure, ieri mattina in San Pietro qualcosa mancava. Mancava la desolazione che è consueta a un funerale. Mancava, sulle facce della gente, l’ammutolimento con cui reagiamo di solito, di fronte alla morte. Addirittura in piazza, prima dell’inizio della cerimonia, dei ragazzi cantavano, e battevano le mani. Roma, poi, esibiva il più spettacolare dei suoi cieli, di un blu assoluto. E tanti piangevano, ma non erano annientati come quando ci lascia qualcuno di caro. Mancava, ecco, ieri in San Pietro, la disperazione: che in molti dei nostri funerali culmina nell’istante in cui il feretro viene portato via. Non c’è stato quell’attimo, ieri a Roma. Come diceva una ragazzina del gruppo che cantava, «Noi siamo certi che lui non ci ha lasciati».
Spe salvi facti sumus, pensi, nella speranza siamo stati salvati. San Paolo ai Romani, e l’Enciclica di Benedetto XVI. Una speranza antica di duemila anni si percepisce nell’aria dell’aprile 2025, a Roma. Sulla bara è posato un Vangelo. Un vento improvviso a un certo punto lo scompagina, lo sfoglia, inquieto, veloce - come cercando un passo preciso. Sembra lo stesso vento che aprì dolcemente il Vangelo in piazza, al funerale di San Giovanni Paolo II. Come il segno di qualcosa che vive e opera, oltre l’apparenza del corpo immobile di un Papa morto.
Che opera, che cosa? Alle dieci le delegazioni di tutto il mondo convergono, rigorosamente in nero, davanti alla Basilica. Dall’altra parte, il rosso vivo di 220 porpore. Sugli schermi si vede Trump, a capo chino davanti alla bara. Ma poi, in piazza non arriva. Cinque minuti, dieci, un quarto d’ora. Dov’è, il più potente del mondo? Sugli smartphone compare una foto: Trump e Zelensky uno davanti all’altro, faccia a faccia. Due uomini nell’immensità di San Pietro. Ma colpisce come siedono: entrambi col busto inclinato in avanti, protesi, come quando si discute di ciò che conta davvero. Si parlano. Possibile che? Possibile che accada qualcosa, che la guerra in Ucraina si fermi, davvero? Si tace, davanti a quella foto, quasi non osando sperare. Si pensa a quanto Francesco ha implorato, ostinatamente, la pace.
In quel rettangolo nero in piazza, ieri mattina, c’erano, quasi al completo, i padroni del mondo. E che mondo, in questi amari anni Venti del Terzo millennio. Un mondo tornato indietro, con frontiere chiuse e muri e invasioni. Ma sono, i governanti, quasi tutti lì in San Pietro: e conforta, che si stringano la mano. Lampedusa, Lesbo, la Messa celebrata alla frontiera fra Usa e Messico. Il cardinale Re con la voce netta dei suoi invidiabili 91 anni mette in fila le tappe del giro del mondo di Francesco. Tappe inequivocabili: i fiori lanciati nel mare di Lampedusa, a onorare i morti ignorati dall’Europa. E quella frontiera, in Messico, fra il Sud e il Nord del mondo, sempre più invalicabile. Su tutti i muri che ci lacerano è andato, Francesco. Annunciando misericordia. Il Cardinale Re: «Ha sempre messo al centro il Vangelo della misericordia, sottolineando ripetutamente che Dio non si stanca di perdonarci. Egli perdona sempre».
Perdona sempre. Dentro le braccia di un Dio che perdona. Questo, ad ascoltare la gente in San Pietro, è il Dio di cui Francesco ha parlato. E soprattutto i lontani, chi si percepiva irrimediabilmente fuori dalla Chiesa, dal Papa venuto da lontano si è sentito accolto e abbracciato. Conquistati dalla misericordia: da quell’amare di Dio con viscere materne, come di una madre che non può dimenticare i suoi figli. Misericordia, che parola singolare, enorme, in questo nostro mondo che si affanna per appena un po’ di giustizia, e nemmeno la ottiene. «Ci chiedevi sempre di pregare per te: ora prega tu per noi. Benedici la Chiesa, Roma e il mondo intero», conclude il Cardinale Re. E il Magnificat accompagna l’andarsene di Francesco da questa piazza in cui appena una settimana fa sorrideva, debole, in un ultimo giro fra i fedeli. Come in un cosciente commiato.
Poi il carro bianco esce dalle mura vaticane e traversa Roma. Folla lungo il percorso, tutti con lo smartphone a catturare quell’immagine. (Chissà se siamo ancora capaci, oltre che di scattare, semplicemente di guardare e di serbare un ricordo in noi).
A Santa Maria Maggiore c’è gente che aspetta dall’alba. Sono quelli che dormono sotto al Colonnato, e che Francesco andava a cercare e a sfamare. C’è una donna sfiorita che racconta di essere una transessuale e di avere vissuto sul marciapiede, fino a quando ha incontrato Bergoglio. Ed è lì, dal mattino presto - perché è qui, l’ultimo saluto. Il feretro viene portato dai sediari nella penombra d’oro della Basilica. In fondo c’è l’icona di Maria Salus Populi Romani, tanto cara a Francesco, che già prima di essere Papa quando ci tornava fedelmente. Poi, le immagini si interrompono: si spengono i riflettori sulla sepoltura, che davvero è silenzio, e mistero della morte - la terra, per noi uomini un altissimo muro. “Franciscus”, c’è scritto sulla tomba nella navata sinistra, non altro. Nient’altro. La senti, la lama della morte. Ma, è stato proclamato ancora una volta in San Pietro, «La vita umana non termina nella tomba, ma nella casa del Padre, in una vita di felicità che non conoscerà tramonto».
E dunque ciò che al mondo appare fine, o peggio il nulla, è un inizio. L’audacia della Pasqua, della pietra del Sepolcro rotolata, ci provoca ad ogni morte. Anche a quella del Papa. Le facce nostre, di noi uomini, sono diverse, a seconda che in Cristo morto e risorto crediamo, o no. Ieri abbiamo visto le facce di quelli che ci credono. E quindi sperano. E quindi, nel vedere Trump e Zelensky in San Pietro, soli, su due sgabelli, l’uno davanti all’altro, protesi l’uno all’altro come chi ha molto da dirsi, hanno sperato. Che ci abbia messo una parola lui, che se ne è andato. Hanno sperato, nel tornare alle loro case lontane. Addolorati per un padre perduto, ma non disperati. Francesco non se ne è andato: è solo tornato a casa, da chi da sempre lo aspettava.