Covid: attenzione prioritaria alle persone
sabato 28 novembre 2020

Allorché l’arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, mia diocesi di origine, ha dovuto procedere alla chiusura del Santuario e del Convento di san Pio da Pietralcina, certo con rammarico e immagino non senza iniziali titubanze, ha motivato la decisione con un’espressione, riportata da 'Famiglia Cristiana', che a prima vista potrebbe apparire 'forte': «Di fronte a questa situazione di pandemia non ci tocca salvare il credo ma i credenti, non ci tocca salvare la pratica ma i praticanti». L’afflato pastorale che vi si scorge non riesce a oscurare il senso autenticamente teologico di una scelta che dall’inizio della pandemia di Covid-19 è propria della Chiesa italiana come della Chiesa universale. Il credente è il luogo costitutivo della fede e il praticante della pratica, perché, qualora la dottrina o il culto o la morale si sovrapponessero e mortificassero la persona, non sarebbero espressione del Vangelo.​

Solo qualche residuale bigotto potrebbe contestare questa opzione, non solo per l’emergenza che la impone, ma per la motivazione che la sostiene. E non dovrebbe risultare difficile cogliere come essa sia in perfetta coerenza proprio con la figura di san Pio, la cui attenzione alle persone concrete si è espressa e vissuta nell’esercizio quotidiano del sacramento della riconciliazione, con un fare ruvido e accogliente, che in fondo ha semplicemente riproposto il paradosso della lezione evangelica. E la storia ci testimonia tutta l’acredine e il sospetto che certa istituzione clericale, a suo tempo, ha contrapposto alla prassi (perché non si trattava di teoria) dell’umile cappuccino, che ho incontrato durante la mia infanzia nella sacrestia del convento al termine della recita di un rosario pomeridiano. Insomma, padre Pio incontrava le persone non le ideologie teoriche, perché sapeva leggere nei cuori angustie e speranze, tanto da illuminarle, come nel caso dello scienziato Enrico Medi, nel loro cammino. Così poteva avere dei 'figli spirituali' e in tal modo esprimeva la propria fecondità ascetica.

L’espressione, usata dal vescovo Franco, la saggia e mai precipitosa o 'negoziale' preoccupazione dei vescovi italiani confermata ieri anche da una nota della Cei, riporta a un tema centrale del magistero di papa Francesco, fatto di gesti piuttosto che di parole, di attenzione prioritaria alle persone piuttosto che ai pur importanti codici dottrinali o giuridici. E in questo orizzonte si mostra l’eccedenza della pastorale sulla teoria, per cui mettere al centro la persona, nella sua identità irriducibile (l’«ultima solitudine» del beato Duns Scoto), ci riporta a Gesù e al suo stile essenziale.

Tale radicale solitudine può essere raggiunta solo dalla grazia della misericordia: il grimaldello che può aprirla al rapporto col mondo, con gli altri e con Dio. Se riflettiamo sulla centralità della persona e della sua irriducibilità, possiamo anche confrontarci col mistero di un Papa che si racconta (come negli ultimi libri pubblicati), in quanto abitato dal perdono divino e che in tale racconto intende coinvolgere i credenti e spesso riesce a emozionare anche i non credenti. I suoi 'covid' sono quelli di tutti. E impariamo che i virus si possono affrontare nella solitudine (malattia, Germania, Cordoba) e nella fede, dove emerge il primato della grazia. Perché allora meravigliarsi se il Papa cita Lutero, come se dovesse scegliere i suoi riferimenti solo nel 'Denzinger'? Meno male che non lo fa e si rivolge anche al

Breviario del riformatore: «Non devi credere che rubare significhi soltanto derubare il tuo prossimo dei suoi averi; se tu vedi il tuo vicino che soffre la fame, la sete, il bisogno, che non ha casa, vestiti e scarpe, e non lo aiuti, lo derubi esattamente come chi ruba i soldi da una borsa o dalla cassetta».

Ammoniva ancora Lutero: «Tu hai il dovere di aiutarlo nel bisogno. I tuoi beni infatti non sono tuoi; tu ne sei soltanto l’amministratore, col compito di distribuirli a coloro che ne hanno bisogno». La centralità della persona costituisce il nocciolo duro che questa pandemia ci insegna e ci consegna. Mentre siamo sommersi dai numeri dei decessi, dietro ognuno dei quali c’è un nome, dovremmo imparare a misurare l’autenticità del nostro credere sulla nostra attitudine a essere e contemplarci come persone e in questa prospettiva leggere le altrui esistenze. È questa la 'logica' del Vangelo, che la dottrina dovrebbe rispecchiare in senso speculativo, non dogmatico, veramente teologico e non solo dottrinale.

Teologo, Pontificia Università Lateranense

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