La regola d'oro
venerdì 23 dicembre 2016

Ai piedi della mangiatoia di Betlemme, idealmente, il Papa ha deposto ieri la riforma della Curia romana. E il "dono" appare in perfetta sintonia con lo spirito vero del Natale, la festa «dell’umiltà amante di Dio», il totale capovolgimento della «logica mondana», quella del potere e del comando. Per comprenderlo fino in fondo, mai come in questa occasione, si potrebbe – e forse si dovrebbe – leggere il discorso che Francesco ha rivolto ai capi dicastero (occasione di bilancio del molto che è stato fatto e di tutto ciò che resta da fare proprio in riferimento alla riforma) a partire dalla fine, lì dove il Pontefice ha incastonato la perla della citazione di una preghiera natalizia del monaco contemporaneo padre Matta el Meskin.

«Il mondo è stanco e sfinito perché fa a gara a chi è il più grande», ricorda in uno dei passaggi più significativi quella invocazione. E questo è anche il suo «morbo» più devastante. A tutti i livelli («c’è una concorrenza spietata tra governo, chiese, popoli, all’interno delle famiglie», persino «tra una parrocchia e l’altra», annota il monaco). E in tutte le epoche, perché non è possibile, leggendo queste parole, non riandare all’episodio evangelico in cui Gesù, di fronte alla disputa sorta tra i suoi discepoli per sapere chi tra loro era il più importante, prese un bambino lo mise in mezzo a loro e disse: «Chi accoglie questo bambino per amor mio accoglie me, e chi accoglie me accoglie il Padre che mi ha mandato. Infatti, chi è il più piccolo tra tutti voi, quello è il più importante».

Era una "curia", potremmo dire, anche la primissima comunità apostolica riunita intorno al Maestro. E anche allora Gesù dovette intervenire per una "riforma" che – proprio come ha detto ieri il Papa – partisse dalla conversione del cuore, piuttosto che dal «cambiamento delle persone». Così non stupisce che la scena evangelica, in un certo senso, si sia ripetuta quasi duemila anni dopo nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, dove Francesco ha ricevuto i suoi più stretti collaboratori, per continuare la riflessione iniziata già negli analoghi appuntamenti del 2014, quando parlò delle «malattie curiali», e del 2015, quando il discorso andò invece sulle virtù necessarie.

Tante le analogie con la pagina del Vangelo di Luca. Anche il Papa, infatti, ha invitato a far convergere gli sguardi su un bambino. Anzi, sul Bambino. Perché «il centro della riforma è Cristo» e perché proprio nel Dio che si incarna non nello splendore e nella potenza, ma nell’umiltà di una mangiatoia sono già presenti i criteri guida del cammino intrapreso fin dall’inizio del pontificato.
Papa Bergoglio ne ha elencati dodici.

Ma in sostanza il tutto si può ridurre al comune denominatore della regola enunciata da Cristo al momento della disputa tra i suoi discepoli: chi vuole essere il più importante diventi il più piccolo. Così, lette nella luce di questo ribaltamento di prospettive che è proprio del Natale cristiano, anche le parti più 'tecniche' del discorso si comprendono nel loro significato autentico. Si comprende perché la Riforma della Curia non è una sorta di lifting o di maquillage o «un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe» (nella Chiesa vanno tolte non le rughe, ma le macchie, ha sottolineato). Si comprende perché la Curia stessa non deve essere «burocrazia» o come disse Paolo VI (anch’egli ampiamente citato dal Papa) «una palestra di nascoste ambizioni e di sordi antagonismi ».

Si comprende perché «è indispensabile l’archiviazione della pratica del promoveatur ut amoveatur (promuovere per rimuovere, ndr) ». E in definitiva perché persino le resistenze (il Papa ne ha evidenziate di tre tipi: aperte in quanto derivanti dal dialogo sincero, nascoste o gattopardesche, e malevole, queste ultime ispirate dal demonio) possono aiutare nel discernimento. La ragione di fondo non sta in un’idea, ma in una Persona: il Bambino della povera mangiatoia di Betlemme. Il nostro «unico medicamento» – per tornare alla preghiera di Matta el Meskin – contro il «morbo» del fare a gara a chi è il più grande. La logica del servizio al posto di quella del potere e del comando. Vale per la Curia romana alla quale il discorso di ieri era diretto. Ma è regola d’oro per tutto il mondo. Che mai come oggi ha bisogno di immergersi e immedesimarsi nell’«umiltà amante di Dio».

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