giovedì 13 settembre 2012
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Per quelle strane, tragiche sincronicità del destino, l’attacco più o meno spontaneo di una folla inferocita a Bengasi ha colpito molto in alto, oltre ogni aspettativa, uccidendo l’ambasciatore statunitense Chris Stevens e altri tre funzionari, oltre a un numero imprecisato di libici. Paradossalmente, ma non troppo, i militanti salafiti hanno assassinato uno dei diplomatici di Washington più bendisposti verso la primavera araba e più aperto verso i movimenti dell’islam politico.Una morte destinata a infiammare ulteriormente il dibattito a Washington sulla strategia da adottare in Medio Oriente, con i repubblicani all’attacco del presidente Obama, accusato di non saper difendere gli interessi degli Stati Uniti nella regione e di minare la sicurezza dell’unico vero loro alleato, Israele. Siamo alla fine della campagna elettorale, del resto, e ogni avvenimento – se utile – viene gettato cinicamente nel tritacarne della propaganda.Ma al di là di questo singolo sfortunato episodio, le reazioni così violente e di massa in Egitto e Libia (per ora) contro un filmetto completamente sconosciuto in Occidente, sicuramente rozzo, vile e distorcente, ci spingono ad alcune considerazioni. La prima è la constatazione di quanto sia facile il lavoro dei seminatori dell’odio interreligioso. Basta una vignetta stupidamente offensiva, un fanatico che brucia una copia del Corano, qualche spezzone di film per far divampare la furia di chi si sente oltraggiato e per abbattere con questi gesti tanto plateali quanto esecrabili i ponti del dialogo faticosamente costruiti.Ma per quanto stupide e da rifiutare queste provocazioni non forniscono – mai e per nessun motivo – un motivo valido per scatenare le violenze di massa degli islamisti contro i simboli dell’Occidente o contro le minoranze religiose che ancora rimangono, con ostinazione, aggrappate alle terre mediorientali in cui vivono da millenni. Le provocazioni sono un pretesto; un perno su cui far leva per ottenere concessioni o realizzare la propria agenda politica.Come sembra così evidente in questo caso: proprio nel giorno del ricordo delle stragi di Washington e New York di undici anni fa, le violenze promosse da militanti islamisti in due Stati trasformati dalla cosiddetta «primavera araba», la Libia e l’Egitto. Dobbiamo chiederci allora che cosa vogliano i vari movimenti salafiti. In Egitto il presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, sta rafforzando il proprio potere con una rapidità e una determinazione non previsti. Ma questo non basta ai salafiti egiziani: forti di un nutrito consenso popolare lavorano per forzare la mano al presidente, cercando di imporre – almeno in parte – la loro visione di Stato e società. Una visione dominata dal settarismo e dal dogmatismo, ostile sia verso i copti e le altre minoranze, sia verso quanto rimane della legislazione laica che cercava di garantire la popolazione femminile. Si sentono completamente altro dall’Occidente e lavorano per rafforzare gli steccati culturali e sociali.In Libia, dove la situazione rimane ancora magmatica, si assiste alla crescita della presenza jihadista, che si lega ai traffici illeciti di droga e uomini, alle violenze dei nostalgici di Gheddafi e al tentativo dei movimenti islamisti di condizionare i lavori del nuovo parlamento.L’elemento che maggiormente preoccupa è che la scommessa di costoro non sembra poi troppo azzardata. Lo dimostra il caso della Tunisia, dove da mesi è al governo il partito islamista al-Nahda. Un movimento descritto come pragmatico, moderato e che rifiuta la violenza. Ma che, nei fatti e con solerzia, ha preso a smantellare l’impianto laico ed egalitario della Costituzione e del diritto di famiglia tunisino, a favore di una visione di subalternità della donna.Così, le prime indicazioni che giungono dalla sponda sud del Mediterraneo «liberata dai dittatori» sono che i nuovi governi e i movimenti dell’islam politico sembrano facilmente condizionabili – come se non avessero anticorpi – da chi adotta una lettura della religione dogmatica e intollerante. E beneficia delle provocazioni sterili di chi ancora non ha capito che difendere la propria identità è l’esatto contrario della demonizzazione stupida di una realtà ben più complessa come l’islam.
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