La medicina rinunciataria
venerdì 30 giugno 2017

Ferisce e commuove il nostro cuore di figli, di madri e di padri, la drammatica vicenda umana del piccolo Charlie Gard. La sua vita, per chi crede, è custodita nel pensiero e nelle mani di Dio sin da quando lo ha chiamato all’esistenza, ma i suoi giorni sulla terra sono sospesi, in bilico, tra l’amore tenace dei suoi genitori, che non può arrendersi a una volontà percepita come nemica del bene di Charlie, e le sentenze gelide e strumentali dei giudici, che urgono per una soluzione finale, inesorabilmente mortale in nome di un ragione calcolatrice, che tutto misura e non lascia spazio alla categoria suprema della possibilità, all’imprevisto e all’imprevedibile.

La cultura tecnologica dominante esalta i "miracoli della scienza" e i "successi della medicina" quando essi si sono realizzati (o appaiono come tali), ma non ammette che la irriducibile speranza di due genitori nella vita di loro figlio possa confidare in un "miracolo" a venire, in un "successo" non anticipabile, affidato a una terapia sperimentale che il laborioso ingegno dei ricercatori può offrire non come mezzo validato e ordinario di cura, ma come risorsa in itinere e straordinaria per affrontare una malattia mortale.

Con grande equilibrio e saggezza, la Chiesa afferma che «è sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire» e non si può «imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere a un tipo di cura» straordinaria, sperimentale, «che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo onerosa».

Ma riconosce anche che, «in mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità». (Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia, 1980, n. 4).

I genitori britannici, che sono chiamati a esprimere in modo vicario la volontà del proprio figlio di dieci mesi, avrebbero lecitamente potuto rinunciare a far sottoporre Charlie a quella terapia sperimentale che essi invocano, se la avessero ritenuta – sulla base delle informazioni cliniche acquisite e del rapporto tra beneficio atteso e costo sostenibile – «non ancora esente da pericoli » inaccettabili «o troppo onerosa». Ma, altrettanto lecitamente, possono chiedere che il proprio figlio venga sottoposto a un protocollo terapeutico sperimentale (approvato da un Comitato di etica) presso un centro di riconosciuta competenza scientifica ed esperienza clinica nel trattamento delle malattie mitocondriali, una delle quali – una forma grave e rarissima di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale – affligge Charlie.

Così facendo, essi non solo intendono avvalersi di una estrema possibilità per strappare il bambino da un destino di morte terrena, ma offrono alla ricerca scientifica e clinica la possibilità di verificare l’efficacia di un approccio terapeutico innovativo e di potenziale beneficio per altri pazienti affetti da questa malattia, collaborando al progresso della ricerca biomedica e fornendo, appunto, un «esempio di generosità per il bene dell’umanità». Quanti, come chi scrive, studiano e lavorano nel campo delle malattie genetiche rare, conoscono e apprezzano il prezioso e indispensabile contributo dei genitori allo sviluppo e al successo della diagnosi precoce di queste patologie e all’avvio di protocolli terapeutici sperimentali che, negli anni recenti, hanno iniziato a fornire buoni risultati per alcune di esse, avviando il superamento del divario inquietante (clinicamente, eticamente e socialmente) tra elevata capacità diagnostica e scarsa possibilità terapeutica che grava su questo settore della medicina contemporanea.

Sorprende che tra i ricercatori e i medici di riconosciuto elevatissimo profilo scientifico e clinico del Great Ormond Street Hospital di Londra, centro di eccellenza per molte malattie ereditarie rare dove è ricoverato il bambino, e nella comunità scientifica internazionale siano poche e flebili le voci che si sono levate in difesa del diritto dei genitori di Charlie di farlo partecipare a uno studio sperimentale sulla «terapia di bypass nucleosidico» che è in corso negli Stati Uniti. Sorprende davvero tanto. E interroga, persino drammaticamente.

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