La giusta immigrazione è regolata, ma non dalla "mentalità" del nemico
venerdì 5 aprile 2019

Gentile direttore,

ho letto con attenzione le lettere pubblicate in questi anni sul tema delle migrazioni, ma soprattutto quelle degli ultimi tempi e non dimentico la pagina (quasi) intera del 29 gennaio scorso. Chiedo ospitalità per far sentire una voce un po’ diversa da quella in esse espressa e che non è del tutto contraria alla linea adottata dal nostro governo sul tema dei migranti. Vedo che una generosa signora è disposta a prendersi in casa un migrante. Io, che ho avuto per molti anni in affido una ragazzina rimasta orfana e proveniente dal Marocco (e che ho avviato a una seria professione), le chiedo che cosa farebbe, poi, di un giovanotto che non conosce la sua lingua, che non abbisogna solo di vitto e alloggio, ma che necessita di una azione di integrazione che richiede una seria preparazione che non so come potrebbe essere fornita dalla pur generosa disponibilità di un nucleo familiare al di fuori del contesto di una struttura in grado di offrire quel servizio. Come amministratore della mia città, ruolo che svolgo difendendo i valori cristiani ai quali si è sempre ispirata la mia azione di impegno sui diversi fronti nei quali mi sono trovato a operare, porto la nostra esperienza. Avevamo concordato con una cooperativa seria l’accoglienza di alcuni migranti (giovani dai 18 ai 25 anni provenienti dall’Africa) che avevamo inserito con adeguata preparazione nei servizi di manutenzione e pulizia del nostro vasto territorio. Dopo alcuni mesi essi si sono rifiutati, con diverse e poco plausibili ragioni, di continuare il loro servizio, naturalmente retribuito, mentre la cooperativa garantiva vitto e alloggio in locali messi a disposizione della stessa. Abbiamo perciò dovuto rispedirli al mittente. Vengo al punto per me cruciale. L’accoglienza dei migranti sul suolo europeo non può essere scaricato solo sull’Italia, solo per il fatto che il nostro Paese è il più vicino alle coste africane. Esso è perciò un problema europeo che va risolto dall’intento e dall’accordo di tutti i Paesi dell’Unione Europea. E non si può continuamente aspettare l’emergenza di una nave che raggiunge le nostre coste per decidere come provvedere alla distribuzione di questi migranti tra i vari Paesi dell’Europa. E non mi si dica che prima vanno fatti sbarcare e poi si provvederà alla loro redistribuzione. Procedendo così la cosa si ripeterà al prossimo arrivo. L’Europa intera deve vergognarsi di questa sua indifferenza di fronte al dramma di questi arrivi e porre in essere quanto prima delle soluzioni condivise che non costringano più le nostre autorità a fare la figura di coloro che sono insensibili alle legittime necessità di quei poveri nostri fratelli. Quanto poi alla opportunità di impedire a questi “disgraziati” di lasciare le loro terre per intraprendere una avventura che spesso si conclude con la loro morte (mi dicono che per ogni migrante che affoga ce ne sono altri due o tre che muoiono prima di raggiungere le coste libiche) la questione richiede politiche di vasto respiro che il mondo occidentale deve decidersi a porre in essere e non più solo con le vuote chiacchiere di alcuni convegni. Per concludere ritengo che una prima soluzione a questo tema sia solo quella di avviare dei “corridoi umanitari” (come si sta già facendo) che impedisca che dei migranti, finiti in mano ai criminali mercanti delle loro vite, si affaccino poi alle nostre coste chiedendo l’ospitalità. E le navi che vanno a soccorrerli devono sapere prima come andrà a finire la loro opera di salvataggio.

Gualtiero Comini, Salò

È da un po’ che tengo in evidenza la sua lettera, gentile dottor Comini, interessante per il contenuto e per il modo di porgerlo. Ma più la leggo e più mi rendo conto che non è vero che la sua lettera «non è – come lei scrive – del tutto contraria alla linea adottata dal nostro governo sul tema dei migranti». Vedo che la sua lettera indica un prospettiva assai diversa dal quadro disegnato dalle attuali scelte di (s)governo del fenomeno migratorio, delle sue cause e delle sue conseguenze. Poco fa, mentre rileggevo le sue parole mi scorrevano davanti volti e dati, quelli che continuano a farsi più precisi e incalzanti in questa stagione di flussi e di “casi” migratori senza ordine, senza civiltà, senza umanità e senza verità. Lei ha invece chiaro – come noi – che c’è bisogno di ordine, di civiltà, di umanità e di verità. E di seria consapevolezza, proprio come quella che lei ha affinato da padre affidatario di una ragazza di origine marocchina e da politico locale che ha a cuore persone e comunità. Se qualche richiedente asilo, come nel caso da lei citato, non vuol saperne di cooperare al bene comune è logico e giusto metterlo davanti alle sue responsabilità e alle conseguenze del suo atteggiamento. Ma questo vale anche per i politici nazionali che si sono dati l’assurda missione di smontare lo Sprar – il sistema di protezione costruito da Stato, Enti locali e realtà e imprese sociali – che rappresentava – cito le sue stesse parole – la «struttura in grado di offrire» quel «servizio» di accoglienza e inclusione che dà «contesto» alla generosità umana e cristiana di tanti italiani (generosi, come lei e come la signora della quale lei ricorda una bella lettera). Sì, abbiamo bisogno di consapevolezza del valore delle persone e delle situazioni di cui parliamo, e non di calcoli che sfociano in propagande sferraglianti, battute a effetto, ingiustizie e tragedie fatte passare per bazzecole, fino al paradosso atroce di dichiarare «affidabile» la Libia e la sua guerra: guerra civile, guerra per procura di potenze straniere, guerra sulla pelle delle persone confinate nei lager (ufficiali e no) per migranti...

Propagande e battutacce che purtroppo abbondano in questa stagione segnata dalla politica dei “porti chiusi” per i “clandestini”. Espressioni che vanno precisate e tradotte: in Italia ci sono “porti chiusi” di fatto e non di diritto e solo a intermittenza; perché “chiusi” episodio per episodio, ad hoc; perché chiusi solo alle navi con a bordo uomini, donne e bambini poveri, dalla pelle scura e in viaggio irregolarmente (cioè senza un qualunque visto) verso l’Europa. “Porti chiusi” solo per questa categoria di persone e per nessun altro. Una chiusura che, dunque, può essere dichiarata, ma non strutturata e formalizzata con atti di governo perché se lo si facesse, l’Italia potrebbe finire “sotto processo” – e io credo che prima o poi, di questo passo, ci finirà – per discriminazione e violazione di regole internazionali che questo nostro Paese ha fatto pienamente sue, dopo aver contribuito – nei decenni passati – a definirle e a stabilirle. E qui è necessaria un’altra sottolineatura. Le attenzioni vengono concentrate sistematicamente sul muro d’acqua alzato nel Mediterraneo, e questo anche in forza di drammatici casi di cronaca: proprio in queste ore, ci sono 64 persone confinate a bordo della barca battente bandiera europea, stavolta tedesca, che li ha salvati, mentre di altri 91 esseri umani, vittime di due distinti naufragi segnalati dall’Onu, si sa soltanto che non sono stati soccorsi da nessuno. Eppure attraverso il mare sono arrivate in Italia dall’inizio dell’anno circa 500 persone in tutto. Gli arrivi irregolari (e purtroppo lo sono follemente tutti in un Paese che da nove anni non consente più seri flussi regolari, controllati e calibrati, di cosiddetti “migranti economici”) sono intanto migliaia e migliaia, ma avvengono per via di terra e di cielo e riguardano persone, in gran parte dalla pelle bianca (soprattutto donne e dall’Est del nostro continente) o dalla Cina. Eppure la retorica dei “porti chiusi” dilaga, e a scongiurare sofferenze e vergogne, di cui – lo ripeto ancora una volta – presto o tardi la storia ci chiederà conto, non basta la preziosa, ma troppo piccola, portata dei corridori umanitari garantiti dall’iniziativa ecumenica cristiana di cui scriviamo da anni e in un’unica e limitata occasione sono stati voluti spontaneamente (spot-taneamente, direbbe qualcuno) dall’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Poco prima che riprendessi in mano il suo ragionamento, proprio il ministro Salvini ha deciso di replicare con durezza al presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, che aveva appena richiamato con accorata e rispettosa amarezza le evidenti «insufficienze» di un’azione politica sul fronte migratorio che sta producendo meno arrivi, ma anche percentuali spaventose di morti in mare in relazione al traffico di esseri umani realizzato da personaggi senza scrupoli, che sta ostacolando processi di sana inclusione e che crea e alimenta la «mentalità del nemico». Salvini mette ancora una volta sul banco degli imputati chi dice le cose sagge e vere che il cardinale Bassetti ha sottolineato. Accusa di «nostalgia» della irregolarità. L’irregolarità e l’illegalità stanno trionfando proprio ora. Chi ha occhi per vedere, testa per ragionare e cuore lo vede e lo sa. In mare, alle porte d’Europa, oggi si muore ancora, e con percentuali mai viste prima: oggi, per quel che si sa, e non sappiamo tutto, perché interi bracci di mare sono ormai lasciati senza presidio, le morti sono ben superiori al 10 per cento dei partenti. E sull’altra sponda del Mediterraneo e nei deserti d’Africa, come lei scrive e noi documentiamo da anni, accadono drammi che lasciano attoniti. Eppure il ministro si gloria perché «oggi in Italia i porti sono chiusi per scafisti e delinquenti». Non è così: i porti, come ho già ricordato, sono chiusi solo per le povere persone in fuga dalla Libia o che nei “campi” libici definiti «disumani » dai portavoce delle Agenzie Onu vengono riportate o lasciate a marcire. I signori della guerra libici e i trafficanti di uomini, donne e bambini (che in gran parte coincidono) sono invece del tutto liberi di agire. La guerra è contro gli umanitari. E si fa sistematicamente puntiglioso scontro politico-diplomatico con altri Stati della Ue, sempre i più grandi e i meno xenofobi. Fino a quando? Nessuna battaglia si può decentemente vincere sulla pelle dei più deboli.

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