martedì 27 settembre 2016
Le donne ebree hanno superato quelle arabe dei Territori per figli pro-capite: 3,1 contro 2,8. Ma nellecifre si nascondono tante contraddizioni. di Susan Dabbous
Tra Israele e Palestina il derby delle culle
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È testa a testa ormai nella cosiddetta 'guerra delle pance' tra Israele e Palestina. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Centro statistico nazionale di Tel Aviv, il tasso di fertilità delle israeliane sembrerebbe ormai aver superato, seppure di poco, quello delle arabe nei Territori palestinesi. Il confronto sarebbe del 3.1 delle prime contro un ipotetico 2,8 delle seconde. Difficilissimo è infatti estrapolare dati statistici affidabili da parte dell’Autorità nazionale palestinese, che per fini politici non aggiorna i numeri della popolazione (dimenticando, ad esempio, di cancellare i deceduti). Dati ufficiali mostrano comunque una popolazione in crescita da entrambi i versanti: sono 8,5 milioni gli abitanti in Israele, 2,2 nei Territori Palestinesi, 1,8 nella striscia di Gaza. Nell’intera area, la consistenza demografica è decuplicata rispetto al 1948. Ma in un territorio tanto polarizzato e distinto per religioni ed etnie, come questo, è doveroso guardare bene cosa includono, o nascondono, i dati ufficiali relativi al tasso di fertilità. Innanzitutto, il tasso di fertilità delle israeliane è spinto verso l’alto da due comunità che nulla hanno in comune se non il passaporto: le prime sono le donne Haredi (minoranza ebraica ultraortodossa di origine europea, con una media di 6,5 figli a testa), le seconde sono le beduine (musulmane che vivono principalmente nel deserto del Negev e soggette alla poligamia). Non sono rari, uomini beduini che hanno 24 figli, e si stima che ogni donna partorisca tra i 4 e 5 bambini. Recentemente, hanno suscitato molto scalpore alcune proposte, da parte di parlamentari israeliani, finalizzate alla sterilizzazione delle beduine, che non hanno poi avuto seguito perché evidentemente razziste e inaccettabili. La poligamia è stata vietata in Israele con una legge del 1977, ed è quindi suscettibile di pene severe come il carcere (fino a cinque anni) e di multe salate. In verità, tale legge fu varata per scoraggiare i matrimoni multipli che avvenivano presso le etnie ebraiche provenienti dal Nord Africa e dallo Yemen, dove la poligamia veniva regolarmente praticata. Quanto ai beduini, invece, lo Stato israeliano ha deciso di chiudere un occhio, e se necessario anche due, rispettando il volere del padre fondatore David Ben Gurion (che non voleva aprire troppi fronti di conflitto). Il risultato è che oggi è il 30 per cento dei beduini del Negev hanno più di una moglie. In termini assoluti sono però piccoli numeri considerando che nel 2013 solo 361 uomini sono stati registrati dalla Population Authority come poligami e 968 donne come mogli 'addizionali'. Ipocritamente, il ministero della Salute, che elargisce le tessere sanitarie per le cure gratuite, definisce le seconde, terze e quarte moglie come membri di 'famiglie allargate'. La poligamia, non praticata dai palestinesi musulmani per ragioni tanto culturali quanto economiche, sembra essere tornata invece di moda tra gli uomini beduini. Anche se oggi non vivono più alla maniera tradizionale prendono più mogli solo per dimostrare che 'sono uomini'. Ma come mostrano le statistiche (e i parchi pubblici di Gerusalemme) non c’è bisogno di essere poligami per essere prolifici. Ne sono un chiaro esempio le famiglie di ebrei ortodossi e ultraortodossi che popolano la contesa Gerusalemme dove c’è la più alta concentrazione di religiosi del Paese. Qui il tasso di fertilità delle ebree raggiunge il 4,3 per cento mentre quello delle arabe è del 3,3. Più in generale la città santa detiene il primato della città più prolifica del mondo industrializzato. Questo dato non deve però far presupporre che la popolazione araba stia scemando, anzi. Se si considerano fattori svantaggiosi relativi allo stato di occupazione in cui vivono gli arabi (relegati ormai a un solo terzo della città), i palestinesi rappresentano il 37 per cento dei 849.000 abitanti di Gerusalemme. Tra questi, i cristiani sono circa 12.000. Con quasi 160.000 persone complessive (secondo il Centro statistico nazionale), i cristiani in Israele sono concentrati per lo più in Galilea: 22.000 a Nazareth, 14.400 Haifa, 9.400 a Shfaram e il resto a Gerusalemme. Tra le donne confermano detenere il tasso di fertilità più basso con 2,2 figli a testa che coincide però con il tasso di scolarizzazione più alto. I numeri generali mostrano come il 64% dei cristiani siano diplomati, rispetto al 59 % degli ebrei e al 48% dei musulmani. Le donne hanno poi un tasso di occupazione notevole: 45,3 per cento. Un numero davvero alto e preso quindi a modello dai demografi e dagli ecologisti israeliani preoccupati per l’eccessiva pressione demografica nel Paese. Puntando su un alto livello di istruzione (la maggior parte delle trentenni di oggi sono laureate) le ragazze cristiane si sposano più tardi (in media quattro anni dopo rispetto alle ebree e le musulmane) portando l’età del matrimonio più vicino ai trenta che ai vent’anni. In questo modo il numero dei figli si riduce necessariamente. Ma non è tutto, puntando ad una qualità di vita migliore, fatta soprattutto di scuole e università private, le famiglie ci pensano sempre due volte prima di avere molti figli. «Adoro i bambini – ammette Lama Maliha, residente di Gerusalemme e mamma di Raya Anna, un anno appena compiuto –. Ne vorrei tanti, ma ci vogliono tempo e soldi». Con il primo figlio avuto a 31 anni, dopo una laurea in Legge, un praticantato di due anni per diventare avvocato e un lavoro presso un  Organizzazione internazionale, Lama non è un’eccezione tra le donne della sua età e del suo ceto sociale. Tra i palestinesi cristiani, ma anche molti musulmani benestanti, si è diffusa la consuetudine iscrivere i figli nelle scuole private, spesso ex collegi religiosi di ispirazione europea (italiani, francesi, inglesi, americani e tedeschi). Negli anni, guerre, intifade e periodi difficili hanno spinto inoltre la popolazione cristiana a migrare soprattutto in Europa, Sud America e Stati Uniti, con buona pace di chi teme che i cristiani possano sparire dalla terra di Gesù. «Non c’è pressione politica che tenga – spiega Serin Ghattas, ortodossa di rito siriaco – quando mettiamo su famiglia, nella nostra comunità, le nostre priorità sono: cosa daremo da mangiare ai nostri figli? Dove andranno  all’università? Che auto ci serve?». Il sistema scolastico è davvero qualcosa che svantaggia molto la classe media palestinese, in particolare, chi vuole accedere al mercato del lavoro israeliano senza sapere la lingua ebraica. M a non è solo la buona istruzione a essere cara in Israele. In generale, il costo della vita è più alto che in Europa. Un’impennata dei prezzi alimentari e immobiliari è avvenuta infatti dopo il 2008, quando i mercati finanziari hanno utilizzato la stabile economia israeliana, solo marginalmente toccata dalla crisi, per dirottare molti investimenti. Il risultato è stato piuttosto disastroso, se si pensa che nella ricca Israele un bambino su tre vive sotto la soglia di povertà e 30.000 gestanti, l’anno scorso, hanno portato avanti gravidanze sottonutrite, con gravi deficit proteici. Il lato oscuro della proliferazione a scopi politici e religiosi è rappresentato quindi da «tanti pancini vuoti che vanno a letto senza cena», spiega Jakie Roseberg della Yad Ezra, Ong che distribuisce migliaia di pasti caldi a settimana in una zona centrale di Gerusalemme, non lontano dalla famosa Mea Sharim, dove vivono gli ultraortodossi. Dati tanto allarmanti, mostrano che il sistema delle sovvenzioni alle comunità religiose, mascherati da assegni per i bambini, non è più sostenibile. Il diritto a una somma mensile, crescente per ogni figlio aggiuntivo, fu introdotto alla fine degli anni Settanta e il tasso di fertilità tra gli Haredi è passato da 2,5 degli anni ’50 a 6,5 odierni. La combinazione di famiglie numerose e caro-prezzi ha creato, secondo gli economisti, una piaga sorprendente nella 'terra del latte e del miele', dove la produzione degli alimenti soddisfa solo il 45% della domanda interna. Ma i trend attuali non lasciano presagire nessun calo all’orizzonte, secondo le previsioni il Paese conterà 15 milioni di abitanti nel 2050.
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