mercoledì 9 giugno 2010
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Blindare un testo che si trova all’esame del Parlamento, in questo caso il disegno di legge sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche e ambientali, non è mai una pratica consigliabile, in democrazia. È tuttavia legittimo che il comandante della nave governativa chieda ai suoi di mantenere l’attuale rotta fino all’ingresso in porto, una volta raggiunto un equilibrio ritenuto finalmente accettabile dall’intero equipaggio. Un equilibrio che, per la verità, il presidente del Consiglio non considera tale, perché a suo dire la bilancia penderebbe ancora troppo a favore delle «lobbies dei magistrati e dei giornalisti», a discapito del diritto alla riservatezza del cittadino. Ma, al netto delle convinzioni e delle appartenenze professionali di ciascuno, è indubbio che il provvedimento in procinto di approdare nell’aula del Senato rappresenti un passo in avanti rispetto alla versione che aveva preso corpo, sempre a Palazzo Madama, in seguito ai precedenti emendamenti del relatore e del governo.In particolare, lo scioglimento dei nodi più spinosi (il limite rigido dei 75 giorni, oltre il quale non si poteva più intercettare e l’impossibilità di disporre registrazioni ambientali, se non in presenza della certezza che in quel luogo si stesse commettendo un reato) è stato salutato con soddisfazione anche da diversi esponenti delle opposizioni e dal procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso.Si tratta di due oggettivi ostacoli all’attività investigativa che cadono. E che fanno cadere molti degli alibi di chi si oppone pregiudizialmente a questa riforma. Non può essere ignorata, inoltre, la decisione, improntata al buon senso, di stralciare la norma che aboliva l’arresto in flagranza di reato per abusi sessuali «di minore gravità» (ambigua formulazione contemplata dal codice penale) nei confronti di minorenni. Così come appare apprezzabile la scelta di trattare in una sede più appropriata, la revisione della legge 124/2007 di riforma dell’apparato d’informazione per la sicurezza, la complessa questione del segreto di Stato applicato alle comunicazioni di servizio degli appartenenti all’Aisi, all’Aise e al Dis (cioè ai nostri «007»). In entrambi i casi, infatti, maggioranza e governo hanno corso il rischio di dare la sgradevole impressione di voler infilare in questa legge norme che avevano scopi differenti da quello, dichiarato, di contemperare l’obbligatorietà dell’azione penale, il diritto alla riservatezza dei cittadini e il diritto-dovere d’informazione.Arriviamo così al tasto delicato della libertà di stampa, intoccabile in qualsiasi Paese che voglia dirsi civile. Per una precisa scelta etica ed editoriale, non da ieri, questo giornale non pubblica trascrizioni d’intercettazioni. Non saremo certo noi, quindi, a contestare il divieto di metterle in pagina mentre l’istruttoria è ancora aperta. Ma anche su questo punto si è rischiato di andare oltre, proibendo la pubblicazione di qualunque notizia (anche non coperta da segreto) su inchieste giudiziarie, fino all’udienza preliminare. In seguito alle modifiche apportate nei giorni scorsi, invece, sarà possibile riportare «per riassunto» gli atti giudiziari. Ma, francamente, non è chiaro quale sia il limite del «riassunto».Così, ferma restando l’inviolabilità del segreto istruttorio (fin qui più presunta che reale), sarebbe forse il caso di fare un’ulteriore correzione all’insegna della trasparenza, rendendo obbligatoria l’«udienza stralcio», già prevista dal codice di procedura penale: un giudice, sentita la difesa e l’accusa, decide quali atti sono di rilevanza pubblica, perciò pubblicabili, e quali riguardano invece la sfera privata delle parti o comunque non hanno rilevanza processuale e, dunque, vanno distrutti o secretati.
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