Registro indagati: i lineari meriti di una circolare
sabato 21 ottobre 2017

Sulle notizie di reato bene Pignatone, ma il legislatore? Ha due meriti la recente circolare del procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, diretta a uniformare il comportamento dei magistrati del suo ufficio nella gestione delle iscrizioni nel cosiddetto 'registro degli indagati'. Primo merito: l’aver messo in evidenza il frequente sovrapporsi, alla fisiologica funzione di garanzia dell’istituto, di aperture, sia pure involontarie, a strumentalizzazioni che ne fanno addirittura un ordigno persecutorio. Secondo e non meno importante merito: l’aver indicato una strada per porre un freno alla degenerazione salvaguardando però il nucleo essenziale della garanzia cui l’introduzione del registro – una tra le tante innovazioni del codice vigente – fu preordinata. Va premesso che un’almeno piccola parte di responsabilità per la degenerazione denunciata dall’alto magistrato risale a una deformazione terminologica, in sé veniale ma collegata a un contesto, assai meno innocente, che non di rado trasforma il sacrosanto diritto all’informazione in sete di scandali.

In realtà, non di «registro degli indagati» parla il codice (art. 335) ma, in forma ben più neutra, di «registro delle notizie di reato»: l’abituale compressione si può spiegare anche per le esigenze di... economia di parole, avvertite soprattutto dai titolisti dei quotidiani, ma ha finito per favorire l’impressione che, quando una denuncia è iscritta in quel registro, già si debbano avere elementi consistenti a carico anche di chi è, magari, oggetto di una semplice denuncia non supportata da alcunché di serio. Non era questa l’intenzione del legislatore, che volle il registro – e le relative iscrizioni – quale strumento per certificare la data di ricezione della denunce (così come di ogni altra presa di conoscenza ufficiale dei reati) e per garantire denuncianti e denunciati contro eventuali tentazioni di qualche pubblico ministero, propenso a tenere nel cassetto una notitia criminis così da poter compiere in assoluto segreto accertamenti anche di notevole rilievo e da fruire comunque di un sostanziale allungamento del termine che la legge fissa per la conclusione delle indagini.

Lo scopo, insomma, era schiettamente di tutela dagli abusi, secondo una logica che trovava un ulteriore, e più noto, tassello nell’«informazione di garanzia», da non confondere, come pur è accaduto in questi giorni, con l’«iscrizione» di cui si parla, e che deve darsi all’indagato quando hanno da compiersi atti di particolare importanza e per i quali è assicurata la possibilità di un’assistenza dei difensori. Le degenerazioni dell’«informazione» così come dell’«iscrizione» sono, peraltro, sotto gli occhi di tutti e, certo, soltanto in piccola parte sono dovute a equivoci terminologici; e se la prima è diventata un «avviso» facilmente trasformabile dai media, tramite la sua pubblicizzazione, in un’anticipata sentenza di condanna, la seconda – riferita agli «indagati» e non alle «notizie», ma ugualmente considerata da molti pubblici ministeri come un «atto dovuto» – ha favorito speculazioni che spesso producono gravissimi e irrimediabili danni per la vita privata e pubblica di una persona (di «effetti pregiudizievoli, sia sotto il profilo professionale, sia in termini di reputazione», parla la stessa circolare).

Non a torto il procuratore Pignatone ne prende realisticamente atto e prospetta una via d’uscita, facendo leva su una disposizione di carattere organizzativo sui compiti della segreteria di ogni Procura della Repubblica, la quale definisce come meramente «eventuale» l’iscrizione di esposti e denunce nel registro delle notizie di reato, e sulla presenza, nell’armamentario degli strumenti documentativi in materia, di altri due registri, accanto a quello delle «notizie» riguardanti «persone note» (cosiddetto modello 21): quello degli «atti non costituenti notizia di reato» (modello 45) e quello delle notizie di fatti costituenti reati ma per i quali l’autore risulta, al momento, ignoto (modello 44). Anche sulla scorta di un insegnamento, risalente nel tempo, delle Sezioni unite della Cassazione, ne viene una precisa direttiva: la «notizia» va inserita nel primo dei tre registri soltanto dopo che si venga a disporre di riscontri i quali, pur senza supportare necessariamente una convinzione di fondatezza degli addebiti che risultano mossi a una determinata persona (quest’accertamento sarà compito dell’eventuale processo...), ne palesino la plausibilità: vale dire il sussistere, a carico di tale persona, di «specifici elementi indizianti».

Se e finché non vi sia la relativa constatazione, il pubblico ministero avrà altre due vie davanti a sé: qualora il fatto denunciato non sia «descritto nei suoi termini minimi» o risulti «irrimediabilmente confuso» o, addirittura, «neppure in astratto» lo si possa ricondurre a «una fattispecie incriminatrice» si ricorrerà al «modello 45» (una sorta di 'cestinazione', insomma, che peraltro, a evitare insabbiamenti clandestini di iniziative 'scomode', lascia pur sempre traccia); l’altra strada sarà invece applicabile quando il configurarsi di qualche reato non possa dirsi oggettivamente escluso, ma, appunto, l’indicazione di uno o più autori non appaia supportata se non, al più, da vaghi sospetti; ed è quella del... parcheggio nel registro 'modello 44'. La soluzione si muove sul filo di quella che può anche apparire una forzatura letterale (un atto in cui pur si leggono nomi e cognomi viene iscritto come relativo a un fatto «di autore ignoto»…). Escamotage o no, si evita comunque un’intempestiva e incresciosa attribuzione soggettiva del reato e al tempo stesso non risulta frustrata la garanzia di una ragionevole durata delle indagini (pure quando l’autore sia ignoto è previsto un, sia pur particolare, meccanismo di termini).

Resta un interrogativo, che ci si permette di avanzare nonostante la consapevolezza delle obiezioni che sorgono ogniqualvolta, nel quadro di una legislazione già sin troppo 'a pioggia', s’invocano ulteriori riforme settoriali per avallare o correggere applicazioni controverse di norme esistenti (e soprattutto sapendo che in questo finelegislatura Governo e Parlamento sono indotti a pensare a ben altro): in proposito non varrebbe la pena di un chiarimento, interpretativo o modificativo, da parte di chi le leggi le fa e non è soltanto chiamato ad applicarle?

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