In fondo alla foto del "buco nero" un'evidenza ci interroga
domenica 14 aprile 2019

Quel pozzo oscuro cinto da un anello che sembra ardente ha preso a campeggiare sui giornali e sul web nel cuore di questa settimana d’aprile che ci stiamo lasciando alle spalle. Non smetterà più.

L’immagine è storica. Il gigantesco buco nero della galassia Messier 87 fotografato dal Progetto internazionale Event Horizon Telescope è la prova della teoria della relatività, annunciano emozionati gli astrofisici. Ma sui social gli utenti cliccano, guardano un istante e commentano: “Sembra un tortellino”, oppure una ciambella; “Sembra il debito pubblico italiano”. C’è ironia e leggerezza nel popolo del web, davanti a quella che per la scienza è la foto del secolo.

Eppure se ti fermi a leggere qualche riga in più, impari che quel vuoto, l’invisibile dentro l’anello rosso, è grande quanto sei milioni e mezzo di Soli. Che dista dalla Terra 55 milioni di anni luce. Che sta nascosto nel fondo di un’ombra dal diametro di 40 miliardi di chilometri. Dove la luce si interrompe inizia l’«orizzonte degli eventi», il confine in cui spazio e tempo vengono distorti.

Perché un buco nero, spiegano gli studiosi, è una regione di spaziotempo con un campo gravitazionale così intenso, che nulla gli può sfuggire. M87, poi, è un buco nero supermassiccio. Fagocita la materia delle galassie, è un cimitero di stelle. Poche righe, e quei numeri ti stordiscono. Sei milioni e mezzo di Soli? 55 milioni di anni luce? Misure siderali, inimmaginabili: e se cerchi di pensarle ti prende lo sgomento. Le spaventose grandezze dell’universo fanno quasi male. Perché subito si affaccia un pensiero: e noi? Noi uomini, che ci sentiamo così importanti sul nostro piccolo pianeta, di fronte a questi numeri con nove o dodici zeri veniamo presi da un tremito: meno che formiche sembriamo, nell’universo. Noi microbi, noi infinitesimali pulci. Allora i tortellini e le ciambelle dei commenti sul web ti paiono il chiasso di bambini che hanno paura del buio. Un vociare, un rispondersi solo per rassicurarsi reciprocamente, davanti a qualcosa di tanto grande da essere insostenibile.

In realtà, se davanti a questa foto, la prima che gli uomini, grazie a uno straordinario lavoro, riescono a catturare, ti fermi e guardi, e ascolti, rimani in silenzio. Un religioso silenzio per l’infinito che ci sovrasta; lo stesso silenzio in cui i primi Homo sapiens guardavano le stelle, di notte, dai loro bivacchi. Un silenzio ancora oggi gremito di domande: chi ha fatto il cielo, e quale mano sta, dietro a un tale disegno. E, noi? Che cosa siamo noi, cosa sono i nostri figli, i nostri dolori, nella sterminata oscurità dove la luce va pellegrina, per milioni di anni? Fino a magari finire in un buco nero che ingoia e distorce anche lei, e avvolge il tempo e lo spazio insieme, in un mondo ai nostri occhi sovvertito. Cosa siamo noi, se una sola di queste bocche del nulla è grande sei milioni e mezzo di Soli? Come sentire qualcosa, dentro, che scricchiola nelle nostre certezze. Magari perfino nella nostra fede: perché ci si può anche domandare che cosa importi, al Dio delle galassie, di un uomo. Di un minuscolo uomo.

Forse allora siamo solo un niente? Un niente, eppure capaci di costruire straordinari strumenti che cercano e scoprono i buchi neri nel cielo. Un formidabile “niente”: fatto «a Sua immagine e somiglianza». Creature piccolissime, fragili e mortali. Ma, è scritto nel Libro di Geremia, «Prima di formarti nelle viscere di tua madre, Io ti conoscevo».

La prima foto della bocca nera di M87, se resti a guardarla, riconduce allo thauma, allo stupore dei cavernicoli sotto a primordiali cieli. Allora molti chiudono e cliccano qualco-s’altro, o ridono: sembra una ciambella. Perché sempre di più si fa fatica a reggere il silenzio che ci interroga su ciò che siamo. Quel devoto silenzio che nei consessi umani, da millenni, è all’origine delle religioni. L’evidenza di Dio, è ciò che sta in fondo a quella foto straordinaria. Allora, incapaci di tacere, di fermarsi, si lancia una battuta, e si passa ad altro.

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