In carcere un anno dopo
mercoledì 3 marzo 2021

Tre giorni terribili quasi un anno fa. Tra il 7 e il 9 marzo scoppiò la rivolta in oltre venti carceri italiane. Tre giorni drammatici, che provocarono quindici morti, in gran parte per overdose da farmaci prelevati dai detenuti nelle infermerie. Erano le prime settimane della pandemia, e il Covid-19 fu proprio la motivazione di quelle gravi proteste. La scintilla era stata il blocco delle visite dei familiari dei detenuti, come misura precauzionale contro il contagio. Una regia comune? Forse. Ma la protesta si inseriva in una situazione carceraria tornata pesante, con molti penitenziari sovraffollati.

Quest’anno non è stato facile. Il lavoro in carcere è diminuito, mentre sono aumentate le polemiche per alcune scarcerazioni di boss mafiosi per motivi di salute. Una situazione che aveva portato il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede a sostituire i vertici del Dap, chiamando due magistrati esperti come Dino Petralia e Roberto Tartaglia. Ma il Covid non ha certo risparmiato chi vive e chi lavora dentro e attorno alle celle. Tre di loro, tre agenti penitenziari del carcere di Carinola morti nel giro di pochi giorni, li ha voluti ricordare la nuova Guardasigilli, Marta Cartabia. E lo ha fatto annunciando che stanno procedendo le vaccinazioni negli istituti, partite già da un paio di settimane, un riconoscimento dell’impegno del suo predecessore. Ma le parole scelte ieri dalla ministra, nell’incontro proprio coi responsabili del Dap, confermano la sua attenzione e sensibilità per i problemi, le fatiche e i drammi del sistema carcerario. «Come scriveva Calamandrei, bisogna aver visto le carceri. E anche io, quando le ho viste, non ho dimenticato i volti, le condizioni, le storie delle persone che ho conosciuto durante le visite fatte con la Corte costituzionale». Allora, spiegò che da quegli incontri aveva imparato che «ogni storia e ogni uomo ha alle spalle qualcosa di unico, per questo la pena non deve dimenticare l’unicità di ciascuno». Perché, come ama ripetere, «la giustizia non è vendetta, ma riconciliazione».

Non a caso, a sorpresa, la prima uscita pubblica da Guardasigilli di Marta Cartabia era stata, lo scorso 19 febbraio, l’incontro col Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma. «Una prima occasione – aveva affermato – per riaffermare la comune volontà di collaborazione e di un avvio del suo positivo sviluppo». Ieri l’incontro col Dap, assicurando che seguirà «con attenzione l’andamento delle vaccinazioni sul territorio nazionale», impegnandosi a far pubblicare tutte le notizie e le informazioni relative sul sito del Ministero. Poi, ammettendo che «i problemi e le difficoltà sono moltissime» e che «non vi prometto che li risolverò tutti» ha aggiunto che «ogni vostra esigenza non sfuggirà all’attenzione» sua e del direttore del Dap. Anche il ricordo dei tre agenti è da questo punto di vista significativo. La ministra sa bene che il virus del Covid nelle carceri non fa altro che aggravare altri vecchi virus. Il classico “piove sul bagnato”. Gli attuali detenuti sono circa 53mila, lontani dai numeri record, più di 60mila, di pochi anni fa, ma sempre più dei 50mila della capienza degli istituti. Oltretutto molte carceri sono vecchie e malmesse, proprio quelle dove le rivolte di un anno fa sono state più dure. La Guardasigilli sa anche molto bene, dalla sua esperienza alla Corte, che nel carcere c’è da ricercare un difficile equilibrio tra pena, rieducazione e recupero. Tanto più difficile in un Paese dove le mafie sono ancora forti, anche in carcere malgrado il 41bis, come dimostrano alcune recenti inchieste.

Per di più il nostro Paese, ha alcune forze politiche tentate da rigidità da “chiudilo dentro e butta la chiave” e da altre scorciatoie giustizialiste (la riforma della prescrizione ne è un esempio).

Su questo Cartabia ha già mandato chiari segnali di saggezza, quella di chi la materia penale la conosce bene e anche gli uomini che ci sono incappati. Persone, dunque. Anche il messaggio di ieri ne è un chiaro esempio. Non solo parole, come aveva annunciato e promesso il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel suo intervento alla Camera. Magari riprendendo la riforma carceraria bloccata nella scorsa legislatura tra troppe timidezza e pulsioni “manettare”. Questo ci vuole per combattere davvero il virus di una giustizia ingiusta.

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