Impariamo a perdonare i sacerdoti: diciamo «padre», vediamoli come figli
mercoledì 13 dicembre 2017

Caro Avvenire, vorrei tornare sul tema dell’omelia a Messa. Sono dell’avviso, come ha commentato giorni fa Marina Corradi, che occorra anche difendere «i preti novelli, veri figli coraggiosi» che si discostano dai vecchi modelli e sono magari più accattivanti e simpatici. Però credo anche che questi 'figli' dovrebbero crescere un po’ più in fretta degli altri per essere davvero pastori di anime. Per insegnarci a mettere al centro non noi stessi e le nostre idee di rinnovamento della Chiesa (che possono pure essere giuste), ma Dio Padre. Mi pare che tali novelli preti facciano un po’ di confusione, e non sappiano oggi come dividersi fra i social network e le persone in carne ed ossa. Si fa fatica oggi a parlare con loro, se non previo appuntamento.

Patrizia Carollo Palermo

L’ultimo giovane sacerdote che ho conosciuto è parroco in Val di Non, in Trentino. Ho passato una mezza giornata con lui: si divide fra cinque o sei parrocchie disseminate fra le montagne, ogni mattina celebra Messa in una chiesa diversa, la domenica di Messe ne celebra tre. Ho visto questo giovane prete continuamente in viaggio su strade strette e tortuose con la sua vecchia Fiat, che tutti, quando passa attraverso i paesi, riconoscono. E quanti salutano, e quanti si fermano per una parola al volo, a un incrocio. Mi ha colpito come in questa sequela di villaggi in cui ha centinaia e centinaia di parrocchiani, quel giovane prete ricordasse il nome di ciascuno. Mi sono chiesta quanto debba essere stanco la sera, solo nella sua canonica, e quanto urga il pensiero di tutto ciò che ha da fare, domani. Ho pensato: se fosse figlio mio mi angoscerebbe sapere di tanta fatica quotidiana, di tante domande e bisogni che pesano sulle sue spalle. E mi è sembrato sorprendente e grande che il figlio di un negoziante di un centro di villeggiatura trentino, il futuro garantito se restava in bottega, abbia scelto questa vita di missione fra le montagne, e abbia imparato a memoria i nomi dei bambini, e quelli dei vecchi. Perché un sacerdote è sempre un dono, ma oggi lo è di più. Un figlio che persegua questo desiderio va contro tutto ciò che la cultura dominante oggi insegna e anzi comanda. I ragazzi imparano che bisogna vivere nell’attimo, che bisogna consumare, che bisogna pensare alla propria immagine. Un giovane che sceglie il sacerdozio oggi a me sembra un rivoluzionario, e ho grande stima I e gratitudine per quanti lo fanno. La lettrice si lamenta che i novelli preti stanno troppo sullo smartphone e sul computer. Ma forse quello è il luogo in cui dialogano con quelli della loro età, ed è una cosa importante. Poi dice: per parlare con loro bisogna prendere appuntamento. Devo dire che la cosa non mi scandalizza. Secondo i dati dell’Annuario pontificio, il potenziale di sostituibilità generazionale dei sacerdoti attualmente nel Vecchio Continente è di dieci candidati all’Ordinazione ogni cento sacerdoti in attività. Noi siamo cresciuti abituati a trovare un prete disponibile a ascoltarci in qualsiasi momento, una Messa sotto casa tutte le mattine. Non sarà così in futuro, ci dovremo abituare. Imparando a perdonare i nostri sacerdoti, sempre più preziosi, e accogliendo con un abbraccio quelli, giovani, che si presentano nelle nostre chiese. Chiamandoli, come si usa, 'padre', ma guardandoli con gli occhi benigni e generosi con cui si guardano i figli.

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