giovedì 1 marzo 2012
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Non vi sarà forse un nesso certificabile di causa-effetto, ma la mossa della Bce che ieri ha assicurato 529 miliardi di crediti alle banche dell’Unione Europea ha tutto il sapore di una risposta al dietrofront della Bundeskanzlerin Angela Merkel, che solo ventiquattr’ore prima aveva di fatto affossato quel summit dell’Eurogruppo previsto per domani a conclusione del vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles.

La brusca frenata della Merkel non si ammanta di alcun mistero: il summit avrebbe dovuto discutere dell’ampliamento del fondo salva-Stati, che non pochi Paesi membri dell’Eurozona (l’Italia in testa) vorrebbero portare a 750 miliardi di euro (quello provvisorio attuale è di 250 miliardi, quello stabile che nascerà a luglio avrà una dote di 500), ma per Frau Merkel l’importante era sfuggire al pressing – i quotidiani tedeschi per la verità la definiscono «una trappola» – che Mario Monti, e chi ha a cuore la salvezza dell’euro e la stabilità dell’economia europea più che i calcoli politici interni, sta facendo sulla Germania. Tutto inutile, per ora. La Signora dei Nein è riuscita ancora una volta a svicolare. Si può comprenderla: la stampa tedesca la incalza, i numeri al Bundestag sono risicatissimi, le elezioni sono ancora lontane ma paradossalmente l’indice di gradimento della cancelliera risale ogni volta che mette un freno agli aiuti, ogni volta che boccia le misure di risanamento della Grecia, ogni volta che un suo ministro azzarda l’ipotesi di mettere Atene fuori dall’area dell’euro o di nominare un commissario straordinario per controllare i conti ellenici. Il tedesco medio, insomma, la ritiene la perfetta guardiana della stabilità e un sondaggio della Frankfurter Rundschau le assegna – è imbarazzante, ma vero – il dono dell’infallibilità nelle scelte in materia economica.

Ma il rigorismo tedesco, che i Paesi nordici (dall’Olanda alla Finlandia, alla Danimarca e in certa misura anche alla Svezia) caldeggiano, accodandosi alla Germania con il piglio corrusco dei mastini e trascinando con loro suo malgrado anche la Francia, finora ha saputo solo far collassare la Grecia, il cui futuro – sono innumerevoli analisti a sostenerlo – sarà quello di una nazione permanentemente indebitata dove l’economia rischia di non risollevarsi mai. Ed è proprio a questa «punizione esemplare» – come ha scritto la Suddeutsche Zeitung  che l’opinione pubblica tedesca plaude: colpire la Grecia per ammonire gli indisciplinati, i pigs del Mezzogiorno d’Europa. Con il segreto compiacimento dello scarto irlandese, che preannuncia un referendum sul fiscal compact appena approvato da 25 dei 27 membri della Ue.

Ma per quanto temuta, riverita, subita, incarnazione teutonica di quello che in Francia si chiamava un tempo pouvoir suprème, la signora Merkel ha un valido antagonista in Mario Draghi. Non si tratta di pura rivalità né di significativi contrasti sull’analisi congiunturale, ma sta di fatto che il “bazooka” finanziario messo in campo dal presidente della Bce (ma potremmo chiamarlo anche fondo salva­crescita) sta dando i suoi effetti. L’ultimo in ordine di tempo, quello di ieri pomeriggio, quando la Bce ha offerto alle banche un prestito triennale illimitato al tasso dell’1%. Risultato, 529 miliardi di euro assegnati, di cui un quarto prenotato dalle banche italiane. Una mossa che evita il temuto credit crunch, ma soprattutto che punta alla crescita: con ampia liquidità a basso costo (dal 21 dicembre a oggi la Bce ha iniettato più di mille miliardi nel sistema finanziario europeo) le banche possono ritornare a finanziare le imprese e contemporaneamente ad avere risorse per acquistare titoli del debito pubblico nazionali (e anche internazionali). Respiro all’economia, per intenderci, con la prospettiva che dopo i rigori cominci a intravedersi la crescita. Ed è questo il tema del vertice che si apre oggi a Bruxelles. Un vertice a cui perfino la Merkel – che stamattina potrebbe vedere Monti – è chiamata suo malgrado a partecipare.

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