martedì 10 maggio 2011
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«Confermare i fratelli nella fede». Nei due giorni trascorsi nel Nord-Est Benedetto XVI ha fornito un’interpretazione estremamente moderna della perenne missione di Pietro. Con le sue parole e i suoi gesti, infatti, il Papa ha continuato ad approfondire una delle linee­guida del suo Pontificato: ricordare, e dimostrare, agli uomini un po’ distratti e un po’ delusi di questo inizio di terzo millennio che la fede cristiana non solo è plausibile sul piano della razionalità, ma anche bella da vivere, perché da essa può promanare sia la felicità personale sia il bene comune. In sostanza è sembrato di rivedere sulle strade del Triveneto un remake dell’episodio evangelico di Emmaus, che la liturgia ha proposto proprio domenica scorsa. Un Viandante si è affiancato agli uomini e alle donne di un’area d’Italia di generose tradizioni, ma oggi toccata dallo scoramento e agitata da venti di chiusura egoistica, dopo una lunga stagione di speranze e di proficuo sviluppo. Quel Viandante, semplicemente invitando a guardarsi intorno, ha spiegato tutto ciò che riguarda la storia, l’arte, la vita, l’economia – in una parola la cultura – di queste terre, alla luce di una sola parola. Piccola come un granellino di senape, ma capace di generare la possente pianta di una civiltà che per secoli si è irradiata nel bacino del Mediterraneo e in una vasta area della Mitteleuropa. La parola più usata dal Viandante è 'fede'. Un filo conduttore con cui Benedetto XVI ha cucito non solo i sette discorsi rivolti a diversi interlocutori (dagli uomini di cultura ai vescovi del Triveneto, dai laici impegnati ai semplici fedeli), ma ha anche tenuto insieme passato, presente e futuro. Il ragionamento del Papa è chiarissimo. Se è proprio grazie al cristianesimo che il Triveneto ha acquisito la sua fisionomia, la sua ricchezza (non solo culturale), la sua stabilità, perché oggi una tale profonda radice dovrebbe essere sacrificata sull’altare dell’«edonismo e del consumismo materialista» che generano una società liquida, cioè senza punti precisi di riferimento, e perciò straniante? Ecco allora che per il Papa, «confermare i fratelli nella fede» significa riaffermare che il Vangelo è stato e può essere ancora «la più grande forza di trasformazione del mondo». Significa accoglienza dello straniero al posto della «paura degli altri e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che siamo». Significa speranza creativa al posto del timore del futuro, difesa della vita e della famiglia al posto della cultura della morte, economia solidale al posto della smodata ricerca del profitto. Tutti temi che – non a caso – sono anche al centro del dibattito politico di questo nostro travagliato momento storico. E qui davvero il discorso di Benedetto XVI, scevro da ogni 'piccola' preoccupazione, è rivolto a tutti. All’Europa che dal cristianesimo ha ricevuto la sua forza e la sua identità e che oggi invece sembra volersi difendere dal Vangelo, quasi fosse un invasore. All’Italia che ha bisogno di ritrovare slancio progettuale e coesione interna. Al Nord-Est che proprio sulla coscienza degli splendori del passato remoto e recente può fondare la sua speranza di rinascita dopo la crisi. Alla fine della sua visita, il Papa Viandante ha di nuovo aperto gli occhi agli uomini e alle donne che ha incontrato. Realizzando di fatto l’auspicio con cui il rappresentante della massima istituzione culturale di Venezia, il laico presidente della Biennale, Paolo Baratta, aveva salutato il suo arrivo. «Riaccendere le luci oggi fulminate che ci consentano di guardare lontano». In altri termini «confermare i fratelli nella fede».
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