Il gran valore dei «solidali». Le reti umane da valorizzare

Il nemico da sconfiggere è il virus, ma dobbiamo impedire che vinca un altro nemico, ancora più subdolo, l’isolamento
March 5, 2020
Il gran valore dei «solidali». Le reti umane da valorizzare
Queste settimane di dura prova per il nostro Paese, a causa della diffusione del nuovo coronavirus, hanno mostrato la tenuta delle istituzioni democratiche, l’abnegazione del mondo sanitario, della protezione civile e delle forze dell’ordine insieme al senso di responsabilità di tanti cittadini. Eppure, l’epidemia ci ha colti in un tempo liquido, in cui si sono dissolte reti sociali e relazionali sperimentate. Ognuno è più solo nel mare della vita. Di qui l’incertezza, la confusione, e a volte la paura di questi giorni. Di qui le città che si svuotano di vita.
Ognuno è un po’ più solo nella crisi e reagisce in modi a volte contraddittori. Le risposte positive però non mancano. L’emergenza ha fatto emergere la centralità delle reti di prossimità e di solidarietà oggi ancora più essenziali per contrastare la solitudine e l’isolamento di tanti. La vasta realtà di persone che appartengono a queste reti, espressione in gran parte del mondo cattolico, sono, generosamente, all’opera perché nessuna delle persone più vulnerabili e fragili rimanga sola in questa emergenza. Insieme a tanti preti al servizio e in ascolto delle persone.
Nel tempo della solitudine è chiesto dalle autorità competenti – per un motivo quanto mai necessario e per ragioni assolutamente condivisibili – di creare una certa distanza, alla quale però si può rispondere facendo crescere la vicinanza relazionale. Non solo l’interesse e la partecipazione all’esistenza altrui, bensì qualcosa che si faccia premura, calore, accompagnamento. Non sconfiggeremo il covid-19 se saremo più soli, ma se saremo più vicini, pur in una distanza a prova di contagio. Non usciremo da questa prova astraendoci dal mondo esterno (e isolando gli altri), ma creando ponti capaci di non far andare alla deriva nessuno, a cominciare dai più deboli.

Il decreto del Governo ha insistito sul fatto che «le persone anziane o affette da patologie, ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita, [debbano] evitare di uscire dalla propria abitazione fuori dai casi di stretta necessità». Tanti anziani, persone con disabilità o chi vive per strada è più solo: ricostruiamo un tessuto sociale, anche se da lontano. Non è difficile. Si tratta di ricordarci di chi vive da solo, di fare visita dal pianerottolo, di avviare una conversazione telefonica, di offrirsi di comprare cibo e medicine. Con l’arcivescovo di Milano diremmo: «per far crescere motivi di serenità».
Il nemico da sconfiggere è il coronavirus, ma dobbiamo impedire che vinca un altro nemico, ancora più subdolo, l’isolamento. La Diocesi di Roma ha invitato ieri «le Caritas parrocchiali e tutti i gruppi di volontariato presenti nelle parrocchie a promuovere iniziative di vicinanza agli anziani soli che vivono nel loro territorio perlomeno attraverso contatti telefonici». Inoltre, in questi giorni, in vari istituti e case di riposo di tante città italiane, agli anziani sono state recapitate lettere e video-messaggi da parte di giovani di Sant’Egidio che per l’emergenza non possono fare loro visita direttamente. La tecnologia può essere al servizio di questa emergenza per mantenere i legami sociali quando le possibilità di incontrarsi sono limitate. Una situazione inedita chiede risposte e soluzioni nuove e creative.
Tra le persone a rischio ci sono i senza dimora. La precarietà delle loro condizioni di vita è aggravata in questo periodo dalla minore circolazione di persone, un ulteriore isolamento che rende più difficile ricevere attenzione e aiuto. L’attuale emergenza sanitaria ci chiede di avere particolarmente a cuore la loro salute. Le mense delle Caritas e quelle delle associazioni restano, in genere, aperte pur con limitazioni, ma è necessario guardare con più attenzione a chi vive per strada, per il quale un saluto, una presenza, un aiuto alimentare o di altro genere sono qualcosa di vitale.

La forza dell’epidemia ci ricorda la nostra debolezza. Ma ci rivela anche la nostra forza potenziale – di relazione, cura, ricucitura –, la stessa di cui sta dando prova da settimane il personale medico e paramedico. Ciascuno può essere una presenza amica, capace di prendersi cura di chi non ha altri su cui contare, di rafforzare quei legami di solidarietà sul territorio che rappresentano un vero e proprio sostegno vitale. Scriveva ieri il fisico Guido Tonelli sul "Corriere" che è necessario mettere subito in circolo un «vaccino sociale» in attesa che sia «disponibile il vaccino reale». È il grande compito delle reti di solidarietà.

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