giovedì 4 ottobre 2012
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Siamo in pace da sessant’an­ni, non combattiamo guerre contro nessuno, però la guerra è una maledizione che grava sul mondo, vediamo continuamente nei tg bombardamenti, assalti, morti, feriti, e (culmine dell’orrido) esecuzioni. In questi giorni a noi italiani si ripresenta un’immagine lugubre: la Germania non ci consegna i responsabili della maxi­strage di Stazzema, e i nostri giornali ripubblicano una foto dell’epoca, una esecuzione di massa.L’ho qui sul tavolo, davanti agli occhi. C’è tanta storia in quell’immagine. Il cervello me la riporta in superficie, la rivivo. La foto ha una didascalia che dice: «Soldati nazisti fucilano civili italiani a Sant’Anna di Stazzema». Mostra 6 civili italiani, contadini o simili, due in giacca, gli altri in camicia, a ridosso di una parete montuosa. Alcuni si curvano in qua, stanno cadendo. Sono già stati colpiti, il plotone ha appena sparato. Il plotone è schierato davanti a loro, sono 18 soldati delle SS, tutti col fucile imbracciato e puntato, tranne uno. Quest’uno ha sparato per primo, sta già abbassando l’arma. Due soldati sono mancini, tengono il calcio poggiato sulla spalla sinistra.È strano questo numero 18, perché non corrisponde a nessun reparto. Una squadra ha 10 soldati, un plotone 40, una compagnia 200. Si dice sempre «plotone d’esecuzione», ma non è mai un plotone, cioè 40 uomini. Sono troppi. Però il regolamento dice «plotone». E se dice plotone, il comandante dev’essere un tenente, perché il sergente comanda una squadra e il capitano una compagnia. In «Un anno sull’Altipiano» di Emilio Lussu un maggiore vuol fucilare alcuni suoi soldati, e dà l’ordine a un capitano. Il quale rifiuta: «Io non comando un plotone». Allora l’ordine vien girato a un tenente.Un tenente è un ufficiale, l’esecuzione non viene affidata a un sottufficiale, perché il rito di dare la morte ha una sua grandezza, un sottufficiale è troppo poco. In tempi normali (ma sono mai normali i tempi in cui si esegue una fucilazione?) il plotone, che in realtà è una squadra o due, viene sul posto con l’arma a bilanciàrm, pendula in orizzontale dalla mano. Così venendo, ogni soldato cerca di calcolare il peso della propria arma. Tutte le armi sono pre-caricate, hanno il colpo in canna. Tranne una. Una è caricata a salve. Questo per dare a ogni soldato l’illusione che gli altri uccidono, ma lui no. Il colpo in canna pesa, perché la pallottola è di piombo. La cartuccia a salve è senza pallottola, quindi non pesa. Nel momento in cui si spara, l’arma dà un violento contraccolpo col calcio sulla spalla del soldato. Un pugno. Tutte le armi, tranne una: quella caricata a salve. La cartuccia a salve non dà contraccolpo.Non so se tra questi soldati delle SS, che abbiamo rivisto ieri in fotografia, c’è un’arma caricata a salve. Penso di no. Tutti uccidono. Il rito dell’esecuzione è complesso. Il plotone viene al passo, si schiera frontalmente al condannato, all’ordine «puntàt» ognuno alza il fucile e lo punta, all’ordine «fuoco!» ognuno spara. Il condannato, bendato o no, segue tutta la sequenza, e ad ogni ordine si sente morire. Qui, a Stazzema, il primo condannato a destra si piega come per supplicare. Il terzo apre le braccia come per invocare pietà. Tutti seguono le fasi dell’operazione come se ogni attimo fosse l’attimo della morte. Dostoievski patì tutta questa trafila. Condannato a morte dallo zar per cospirazione, fu graziato e condannato ai lavori forzati, ma il tenente che comandava il plotone d’esecuzione fece uscire il manipolo di condannati, davanti a loro schierò il plotone, e diede tutti gli ordini dell’esecuzione tranne l’ultimo: invece di ordinare «fuoco!» scoppiò in una risata e lesse la grazia. Da quel giorno Fiodor cominciò a patire intermittenti attacchi di epilessia (li descrive, nei «Demòni»). Negli Usa, due fratelli, rapinatori ed assassini, erano condannati a morte, uno fu prelevato un dato giorno, e l’altro sei mesi dopo. Quest’ultimo, alzandosi dalla branda, disse: «Sono già morto, sei mesi fa».
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