giovedì 9 agosto 2012
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​Così è se vi pare: l’espressione pirandelliana pare attagliarsi alla perfezione all’animato dibattito che, proprio in questi giorni, si è acceso attorno allo stato di salute dell’Unione Europea. Tra le ragioni della non buona cera dell’Europa comunitaria, che è diagnosi condivisa, si pone la questione della sovranità, su cui la discussione risulta caratterizzata da una sorta di contraddittoria schizofrenia: da un lato si rivendica più sovranità per l’Unione, dall’altro si lamenta la progressiva perdita di sovranità degli Stati a essa appartenenti.In effetti, il processo di sviluppo dell’Unione sembrerebbe postulare più sovranità, perché la grave crisi economica che colpisce in particolare l’Eurozona, ma un po’ tutta l’area dei Ventisette, richiede - a detta di molti osservatori - un governo dell’economia che riesca a superare differenze e contraddizioni tra gli Stati membri, e a imporre linee omogenee e vincolanti di azione a tutti.Dall’altro lato, a fronte di una economia impazzita e di una moneta non governata, si pretende una ri-espansione di sovranità statale, con la speranza di potere in questo modo superare le attuali difficoltà. Emblematica in questo senso la questione del recesso di Stati dall’Unione monetaria: se ne è parlato con insistenza per la Grecia, più  sommessamente per la Spagna e per l’Italia. Perché se l’uscita dalla moneta europea è invocato, da qualche parte, come una forma di sanzione nei confronti dei Paesi non virtuosi, da altre parti essa è auspicata ed addirittura voluta. Anche in Italia, come noto, qualcuno si è pronunciato in tal senso. Ma che cosa c’è sotto l’idea di un recesso più o meno totale dall’Unione se non una rivendicazione di sovranità? Sul piano del fatto, poi, sembrano rialzare la testa, quasi risorgere a nuova vita, pretese antiche di sovranità, che portano indietro nel tempo. Si veda al riguardo l’atteggiamento assai eloquente della Germania nei confronti degli altri partner europei e, ancorché in misura assai più debole, della Francia. L’antico dualismo di potenza sul continente europeo pare talora riapparire, con tutti i fantasmi che esso reca con sé.In realtà, come il problema dell’economia non è soltanto europeo, così la questione della sovranità non si pone solo nel Vecchio Continente. Qui, forse, essa è avvertita in maniera più forte che altrove; ma la crisi della sovranità, cioè il fenomeno del declino dello Stato moderno, è piuttosto un fatto planetario, legato ai processi di globalizzazione. Questi incidono progressivamente  non tanto sui fondamenti dottrinali dell’idea di sovranità, come ad esempio sulla pretesa deontologica di assolutezza del potere statuale o di originarietà del suo ordinamento giuridico, quanto sul piano concreto, della effettività. Gli Stati si scoprono giorno dopo giorno meno sovrani, perché da soli non riescono più a controllare fenomeni - a cominciare da quello economico, ma non solo - che hanno una dimensione transnazionale o addirittura mondiale. Si tratta di un passaggio epocale, che non può essere arrestato o contrastato, ma che richiede di essere governato: beninteso in forme nuove e con strumenti diversi dal passato.La conclusione è che ogni pretesa di tornare indietro, ogni sogno di restaurazione del passato, è antistorico. Bisogna guardare avanti con coraggio e, per quanto ci riguarda, rafforzare e radicare nella consapevolezza di grandi e solidi valori costitutivi il sistema europeo che si è venuto costruendo. Dobbiamo pensare l’Unione come autentica e sovrana Comunità di Stati, e dotarla di autorità e poteri adeguati, capaci di reggere alle sfide del tempo.
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