Un tempo di cattivismo senza vergogna. Servono forza, parole e gesti di benedizione
domenica 24 giugno 2018

Caro direttore,
sono abbastanza vecchio e dovrei essere sufficientemente smaliziato da non patire di fronte alle notizie di questi giorni, invece sento in me una grande tristezza. Trump che imprigiona i bambini degli "irregolari" separandoli dalla famiglia, Duterte, presidente delle Filippine, che arma squadre della morte per sparare nel mucchio dei diseredati cacciati ai margini della legalità, e uccide anche tre sacerdoti che si oppongono, Erdogan che mette in galera migliaia di oppositori, Orban e Salvini che ostentano il loro rifiuto di migranti e rom accanendosi contro di loro, e si potrebbe continuare ancora per molto... Il trionfo di cattivi politici che pur di guadagnare voti fanno strame di valori democratici a fatica conquistati dalle generazioni passate, pur di parlare alla "pancia" di una opinione pubblica incattivita dalla crisi e bombardata dai media affaristici, di cittadini che temono di perdere le briciole della loro ricchezza e aizzano i poveri a guerreggiare tra di loro, di indifferenti che vedono tutto ciò e si voltano dall’altra parte e anche di cristiani che ostentano il Vangelo senza leggerlo. È stato pure inventato il termine "buonismo": non esisteva nello Zingarelli del 1996, segno che è un termine recente e serve a rovesciare in insulto un valore, la bontà, che dovrebbe essere la più importante tra le virtù. Se sull’Aquarius ci fossero stati diamanti avremmo fatto a gara per accoglierla; e anche se avesse ospitato cani e gatti il loro respingimento desterebbe uno sdegno planetario. Eppure l’umanità è solidale a prescindere. Siamo tutti, non solo umani, ma animali e piante, imbarcati sull’unica arca di Noè che è il pianeta e sappiamo, come diceva uno scienziato, che un battito di farfalla in Africa modifica il clima negli Stati Uniti. Figuriamoci quali sono gli effetti globali quando si offende la vita delle persone. Non che una volta non ci fossero persone di questo stampo, c’erano, eccome se c’erano, ma di solito costoro non si vantavano delle loro bravate. Ora invece ci si vanta spudoratamente dei peggiori sentimenti. Come sostiene Luigi Zoja in "La morte del prossimo", la fallita rivoluzione sociale ha finito per sdoganare la soddisfazione smodata del desiderio che, liberata da qualunque vincolo etico, è diventata essa stessa valore. Non esistono più il bene e il male, ma vinti e vincitori. La dimensione morale è stata sostituita da quella darwiniana. Il darwinismo, che i fascismi del Novecento avevano utilizzato nel confronto tra i popoli, è dilagato in quello tra gli individui. Il vincente è il giusto, è il modello, e non ha impegni con nessun prossimo. È post-morale. E si avvia al post-umano?
Luigi Giario Fraire

Caro direttore,
sono un prete novantenne, Fidei donum per sedici anni condividendo la vita nomade dei rom e ultimamente nel Nord-Est del Brasile. Mi sento oggi "maledetto" da Cristo che annega aggrappato al fratello morto nel mare. Mi sento "maledetto" come italiano e ancor più come prete che fa parte di quella maggioranza che condivide una linea politica interessata, che confonde volutamente un problema umanissimo di accoglienza a chi scappa disperato, sfidando la morte certa, con l’assenza ipocrita dell’Europa e il sussurro rispettoso (più che un grido) da parte di chi crede nella Parola: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli!" (Mt 25,41). Sono certo che il mio carissimo fratello vescovo don Tonino, con il quale ho condiviso vita e battaglie, avrebbe già da giorni lanciato un grido ancora più forte di quello gridato nel momento della minaccia della guerra nel Golfo, e sarebbe corso in Ungheria lieto di essere messo in carcere per avere ospitato un disperato. Io sto con Saviano che non teme la minaccia, e con Vauro e Santoro che hanno inviato una lettera al presidente Mattarella e a tutte le istituzioni: «C’è un giudice per Salvini che ha tradito la Costituzione?». Voglio pormi con i cristiani che si sentono traditi nella fede da parte di chi con millanteria afferma d’esserlo con il Vangelo in tasca. Con cristiani così preferirei essere ateo. Sto, invece, con i cristiani che il Vangelo lo tengono nel cuore sanguinante per le tante vittime rifiutate e disprezzate. Il mio non è uno sfogo per mala digestione, ma una denunzia rivolta ai fratelli cristiani e, mi perdoni, dedicherei una intera pagina di "Avvenire" con la citazione di Matteo 25,41.
don Vincenzo De Florio

Caro direttore,
è stato chiaro papa Francesco nel dialogo coi giornalisti al seguito sul volo di rientro dall’incontro ecumenico di Ginevra, che lo hanno interrogato di nuovo sul tema dei migranti e dei rifugiati. Ha ricordato di averne parlato molte volte: «I criteri sono quelli che ho detto: accogliere, accompagnare, sistemare, integrare. (...) Ogni Paese deve fare questo con la virtù propria del governo, cioè con la prudenza. Ogni Paese deve accogliere quanto può, quanti ne può integrare. L’Italia e la Grecia sono state generosissime ad accogliere...». Quanto realismo in queste parole! E invece a quanto dibattito "drogato" ci tocca assistere – complici spesso i mass media con le loro semplificazioni – per cui la destra non vuole accogliere per motivi "di sicurezza", e quindi a prescindere, mentre la sinistra vuole accogliere per non venir meno allo spirito solidaristico e inclinare a xenofobia e razzismo. Gli uni e gli altri riducono spesso la complessità dei problemi a spirito di tifoseria, solo per farsi pubblicità. Se invece ci si ponesse con realismo e umanità davanti alla questione "migranti", come chiede il Papa, anziché dare fiato allo spirito ideologico e alla propaganda, forse si riuscirebbe a trasformare la situazione nel Mediterraneo in una grande opportunità per tutti. Sì, certo il problema è europeo; gli scafisti criminali prosperano, le bande libiche "legali" torturano e lucrano... per questo serve un’apertura a tutti i fattori in gioco nel problema, anziché dividersi autoriducendo la propria visione del reale! E se cominciassimo a progettare percorsi di integrazione o se guardassimo alle buone prassi già in atto nel nostro stesso Paese? E poi: forse in Italia non siamo sotto di oltre centomila come saldo tra nascite e decessi? Se non avessimo i circa 5 milioni di stranieri residenti, quante classi di studenti mancherebbero all’appello e (forse) quante scuole sarebbero oggi chiuse? Che dire della ricaduta sulle pensioni? Quando domani diminuiranno ancora gli occupati dove trovare i soldi per pagarle? Dicono: ah, però gli immigrati portano via lavoro, alloggi e sicurezza agli italiani... ma come non comprendere che tutto è legato? Non è l’atteggiamento ideale essere contratti e "spaventati" davanti alla novità, non governare le cose e farsi prendere dal panico. Quanto si è discusso senza concludere su ius soli temperato e ius culturae! Possibile non congegnare una proposta, poi semmai passibile di modifica... ma intanto si comincerebbe nel modo giusto, come richiamava, con realismo, il Papa: si veda tutta la realtà, a partire dalle persone, e si valorizzi l’integrazione che vuol dire educazione e scuola, lingua, regole, appartenenza a una comunità e a un territorio. Quanti sanno che in questi giorni gli oratori "feriali" milanesi pullulano di ragazzi stranieri delle elementari e delle medie? Ah, se fossimo tutti – gente semplice e politici – lungimiranti...
Pippo Emmolo

Quanta passione, quanta lucidità e quanto dolore in queste lettere sul tema più triste e difficile di questa estate resa rovente da aspre parole e duri gesti sul fronte mediterraneo delle migrazioni. E quanta voglia di "buon senso" che, se autentico, non si riduce mai a misero calcolo ed è sempre espressione di umanità, di piena umanità. Proprio come la sacrosanta "prudenza" di cui parla il Papa, e che Pippo Emmolo mette al centro delle sue considerazioni. Prudenza che la nostra cultura e la saggezza della Chiesa ci insegnano essere non una "paura in maschera", ovvero la coltre sotto cui dissimulare un egoistico disimpegno, ma la saggia misura che, in concreto, guida a operare il vero bene per noi e per gli altri... Prudenza che, dunque, per stare alla stretta e amara attualità, non giustifica né rende meno pesanti scelte politiche come quella di inchiodare in mare per giorni decine e decine di esseri umani accalcati sul guscio di una nave chiamata Lifeline, "cima di salvataggio", marchiata per il solo fatto di essere messa in mare da un’organizzazione umanitaria non governativa. Credo, cari amici, che proprio per questo le vostre parole si convertano in domande incalzanti e forti. Domande esplicite e implicite, che muovono tutte da una stessa essenziale e irrinunciabile chiarezza: le persone sono preziose, tutte senza eccezioni e discriminazioni, e quando parliamo di "migranti" e di "stranieri" parliamo sempre – sempre! – di persone e non di cose, di uomini e donne e bambini in carne e ossa. E io mi sento di confermarvi che tutte queste domande, a partire da quella sul rischio del post-umano (e, prima ancora, del disumano) che giunge a chiusura e culmine della riflessione di Luigi Giario Fraire, sono anche espressioni della nostra preoccupazione e il motivo per cui offriamo da queste pagine un tenace contributo alla battaglia senz’armi per mantenere un tasso decente di civiltà e di bontà in una società sempre più segnata da vecchie e nuove povertà, da disuguaglianze di nuovo crescenti e dalla smemoratezza del male generato dal sospetto e dall’odio verso lo "straniero" e, cioè, verso il diverso non per dignità, ma per pelle, condizione, fede e cultura di origine. È proprio vero: la "rinuncia al prossimo", e alla prossimità fraterna, è la ritrovata grande tentazione post-morale e autolesionista del nostro tempo che – come aveva subito colto Giovanni Paolo II, come Benedetto XVI ci ha spiegato a fondo e come Francesco non si stanca di ripeterci, sfidandoci a una conversione sia cristiana sia civile – è segnato da una globalizzazione senza solidarietà. Pubblicare contro questo e per stigmatizzare la logica delle porte e dei porti chiusi "a prescindere" «una intera pagina» con al centro, a caratteri cubitali, quel «Via, lontano da me, maledetti...» che il versetto 41 del capitolo 25 del Vangelo di Matteo riserva a quanti non hanno accolto, curato, visitato e consolato i più poveri e marginali? Capisco bene perché don Vincenzo De Florio me lo suggerisce. Avrebbe un grande impatto, spero che non si dovrà arrivare a tanto. Ma io mi ostino a sperare che possano averne altrettanto le "pagine intere" che "Avvenire" continua a dedicare da anni alle buone pratiche e alle buone ragioni di un’accoglienza di profughi e migranti economici regolata e lungimirante, come il professor Emmolo spera diventi tutto l’approccio alla questione. Per quanto appaiano solo su pagine di giornale, quelle che cerchiamo di mettere insieme sono prima di tutto "parole di benedizione", che consegnano alla comune consapevolezza reali "gesti di benedizione". Ne abbiamo enorme bisogno in questo momento storico che, per brutali convenienze e per disinformazione, è maledetto dal cattivismo e da un’impressionante mancanza di vergogna nel manifestare xenofobia e razzismo, persino di Stato. Indignarsi è giusto e necessario, essere generosamente e radicalmente alternativi di più.

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