martedì 5 maggio 2009
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A l terzo giorno, provi a immaginare che le cro­nache da un matrimonio sull’orlo del divor­zio si siano smorzate e sfumino con un che di e­leganza, lasciando spazio ad altro. Magari a una riconciliazione. Invece sulla querelle tra il premier e la sua signora non c’è foglio che si risparmi di mettere un carico da novanta, sfruculiando pre­sente e passato, stendendo copioni da telenove­la, rappresentando così una vicenda privata e di per sé dolorosa come un’incresciosa faida fami­liare e legale dai risvolti patrimoniali miliardari. Del resto, come nelle peggiori tradizioni quando un matrimonio va in pezzi, la linea bipartisan non attacca. E qui tra il premier e la signora del pre­mier non sembra andare meglio: chi sta con lui e compiange l’uomo potente, il cesare allegrotto, piantato in asso da una donna ingrata; e chi – e sono i più –sta con lei, moglie trascurata e oltrag­giata all’onor del mondo. Pochissimi – e noi, con ogni possibile delicatezza, vorremmo essere tra questi – spendono un pensiero dolente e solida­le per i figli, ormai grandi ma assai meno grandi della tempesta che gli si è scatenata nel cuore e nel­la testa. Il rispetto, d’obbligo quando si maneggiano pub­blicamente i casi personali e privati di ogni per­sona, di ogni famiglia, è una regola ferrea. E non sono poi così rari i casi di politici che in casi ana­loghi di tale rispetto hanno goduto. Anche per questo può aver suscitato qualche stupore che la first lady, da «parte offesa», abbia scelto la maggiore agenzia giornali­stica per commentare le di­scutibilissime scelte del marito-premier e, qualche giorno dopo, due tra i più grandi giornali italiani per metterlo idealmente alla porta. E lui? Il presidente e­suberante, il presidente e­steticamente corretto, al­lergico alla bruttezza e con un debole dichiarato per la gioventù delle attrici in fio­re, pur avendo scelto la guasconeria come arte del consenso ora scopre di colpo il basso profilo e la privacy. E grida al com­plotto. È chiaro che a nessuno è lecito usare i disastri al­trui come arma politica. E a nessuno dovrebbe es­sere concesso di sguazzare là dove sono in gioco i sentimenti delle persone e la vita di una famiglia. Essere ricchi, potenti e famosi non mette al ripa­ro dalle sofferenze, i soldi non risarciscono nes­sun figlio dal dolore di assistere alle liti e al divor­zio dei genitori. Tanto più se pubblicamente. Pubblicamente, allora, qualche appunto va pre­so: ciò che farebbe ridere in una puntata del Ba­gaglino non può non preoccupare i cittadini che di tanto «ciarpame» alla fin fine farebbero volen­tieri a meno. Preoccupa perché la politica e lo spet­tacolo, in un abbraccio mortifero, hanno dato nel­l’occasione il peggio di sé. Non ci è piaciuto quel clima da scambio di 'favorini' veri, falsi o pre­sunti tra amici e amiche. E ci ha inquietato lo spar­gersi, tra alzatine di spalle e sorrisetti irridenti o ammiccanti, di un’altra manciata di sospetti sul­le gesta del presidente del Consiglio. Il sospetto per chi gestisce la cosa pubblica può essere persino peggiore della verità più scomoda. E comunque, prima o poi, arriva il momento del conto. Possiamo dirlo? Questa volta abbiamo vissuto con autentica tristezza il valzer delle candidature: se ci fossero davvero in lista d’attesa veline o attri­cette non lo sapremo mai, ma anche solo l’ipote­si di un uso delle ragazze come esca elettorale è suonata sconfortante. Perché inaccettabile è una concezione della donna meramente strumenta­le: la «candidata» dev’essere bella, giovane, pia­cente... possibilmente disponibile. Magari così so­lo allo sguardo degli estranei, ma si sa che le ap­parenze contano. E queste rivelano un ricorso ta­lora spregiudicato al potere. Tuttavia la politica buona, quella che a volte di­venta anche grande, è del potere un uso ben tem­perato, è sereno rigore, è consapevolezza della te­nace significanza di un impegnativo discrimine e­tico. È tenere sempre bene a mente ciò che è giu­sto e ciò che è sbagliato nel «fare». Sappiamo che un uomo di governo va giudicato per ciò che realizza, per i suoi programmi e la qua­lità delle leggi che contribuisce a varare. Ma la stof­fa umana di un leader, il suo stile e i valori di cui riempie concretamente la sua vita non sono in­differenti. Non possono esserlo. Per questo noi continuiamo a coltivare la richiesta di un presi­dente che con sobrietà sappia essere specchio – il meno deforme – all’anima del Paese.
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