giovedì 17 marzo 2016
Il «capolavoro» di Donat-Cattin L'eredità del leader della sinistra sociale Dc
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Sono trascorsi 25 anni dalla scomparsa di Carlo Donat Cattin, il leader della sinistra sociale della Democrazia Cristiana. Non è difficile tracciare un profilo di Donat Cattin: uno statista, un leader politico, un giornalista di razza e un uomo di cultura. Nonché un coraggioso sindacalista. E questo per la semplice ragione che attraverso la sua azione politica e culturale ha contributo a costruire un 'pensiero' che non può essere sacrificato sull’altare di nessun nuovismo o maldestra modernità. Certo, i tempi mutano e le stagioni politiche si susseguono rapidamente. E, purtroppo, oggi prevale la volontà – tenace e coerente – di tagliare le radici culturali e politiche della nostra Repubblica, rimuovendo personaggi ed esperienze che sono stati decisivi nella crescita e nel consolidamento della nostra democrazia. Eppure, una esperienza politica come quella vissuta da Donat-Cattin nel cuore della società e delle sue contraddizioni continua a far discutere, ad alimentare curiosità e, soprattutto, a ispirare la concreta militanza di molti cattolici democratici e popolari. E non solo. Sono almeno 3 gli elementi costitutivi che possono essere richiamati oggi, a 25 anni dalla sua scomparsa. Innanzitutto Donat-Cattin è stato un vero leader politico e uno statista. Caratteristiche che vengono riconosciute non solo dagli amici di un tempo ma anche e soprattutto dagli avversari che individuano nel 'Ministro dei Lavoratori' un vero e proprio 'cavallo di razza' della vecchia Democrazia Cristiana. Un leader che aveva il coraggio di sfidare, come sindacalista, sul terreno dei contenuti la famiglia Agnelli a Torino e un dirigente politico che con una piccola corrente – la sinistra sociale di Forze Nuove – che contava poco più del 6/7 per cento ma condizionava la strategia e l’azione del più grande partito italiano, la Dc. In secondo luogo, Donat-Cattin è sempre stato un uomo 'di sinistra'. Certo, la vulgata lo ricorda anche come l’uomo del 'preambolo', l’ormai celebre documento politico da lui direttamente scritto che nello storico congresso del 1980 sbarrò la strada al Governo ai comunisti del tempo. Ma la sinistra di Donat-Cattin – 'sinistra sociale', appunto – era legata sempre alla reale e non virtuale promozione dei ceti popolari. Era una sinistra che partiva dalle esigenze e dai bisogni dei ceti meno abbienti e che cercava, attraverso gli strumenti concreti della politica e del Governo, di rimuovere quegli ostacoli che bloccavano al palo intere fasce sociali. Su questo versante non si può non ricordare uno dei capolavori della storia democratica della Repubblica italiana, quello Statuto dei Lavoratori del 1970 che rappresenta uno dei pilastri fondamentali del riformismo democratico e della vera e non finta cultura progressista e di sinistra nel nostro Paese. E la sua corrente, Forze Nuove, ha rappresentato nella cinquantennale storia della Democrazia Cristiana un unicum inimitabile e irripetibile. E cioè, una 'sinistra sociale' con valenza politica e capacità progettuale che univa la rappresentanza dei ceti popolari con una raffinata e qualificata elaborazione politica e istituzionale. Un 'capolavoro' politico. Destinato a restare nella storia del riformismo cattolico. Infine, Donat-Cattin era anche e soprattutto un cattolico impegnato in politica. Quando la politica era 'servizio verso gli altri' e ricerca del 'bene comune' e non solo la ripetizione di vuoti e grigi slogan. Uno di quei cattolici che, come i grandi cattolici democratici della Costituente, sapevano essere leader politici ma, al contempo, anche punti di riferimento per la stessa comunità ecclesiale e interlocutori del vasto e articolato associazionismo cattolico italiano. La sorgente spirituale e incessante dell’ispirazione cristiana ha sempre accompagnato la sua intensa e profonda elaborazione politica, culturale ed istituzionale. Una appartenenza reale al mondo cattolico – frutto e prodotto di una generazione che dopo aver combattuto nella Resistenza è approdata al sindacato e poi alla politica – che, però, si è sempre distinta per la sua autonomia laicale e una forte assunzione di responsabilità. Una posizione improntata a una forte e marcata laicità dell’azione politica che l’ha sempre tenuto lontano da ogni tentazione clericale o deriva confessionale. Una generazione di cattolici di cui oggi, purtroppo, si sente una forte mancanza. Ecco perché chi, come me, ha avuto la possibilità e la fortuna di essere 'educato' alla politica da uomini come Carlo Donat-Cattin all’inizio degli anni ’80, sente anche quotidianamente il limite e l’insufficienza della propria militanza politica e culturale. Ma con la consapevolezza, comunque, di aver potuto conoscere la grandezza di uomini – come Donat-Cattin, appunto – che hanno saputo testimoniare nella società e nella politica valori e principi con la forza disarmante delle idee, della coerenza, del coraggio e della fedeltà alle proprie radici. Anche quando questa coerenza significava isolamento e impopolarità.
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