martedì 24 giugno 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
In questi anni così social, così virtuali, parola e fatto si rincorrono e non sempre si raggiungono. Per questo, ogni tanto fa bene ricomporli, com’è avvenuto in Sardegna, dove le Caritas diocesane, ieri, hanno fatto il punto sull’emergenza alluvione del novembre scorso. Spiegando che cosa è stato fatto e da chi. Nonché cosa resta da fare e a chi tocchi farlo. Esercizio di chiarezza per nulla scontato. Oggigiorno, infatti, ogni notizia è accessibile a tutti in tempi così rapidi che non puoi non saperla, purché tu l’apprenda rapidamente, perché altrettanto rapidamente quella ti scomparirà sotto gli occhi, sovrascritta da altre notizie. Questo flusso, obiettivamente, può impedire la piena comprensione di eventi complessi come l’alluvione sarda. Tragedia di sette mesi fa, un’eternità in termini mediatici.Chi si ricorda più dei morti, delle case allagate, delle migliaia di sfollati, delle strade spazzate via? I sardi. Loro se li ricordano benissimo. Perché i sardi erano là. Hanno vissuto sulla propria pelle il peso delle parole non dette: c’era la crisi e non c’erano soldi per le emergenze; entro breve sarebbero arrivati un nuovo governo e un nuovo governatore; insomma, la Sardegna alluvionata doveva aiutarsi da sola. I rapporti della Caritas attestano che l’emergenza di Olbia è stata fronteggiata dalle famiglie sarde che hanno spalato limo, svuotato case e ospitato amici e parenti. Dopo aver seppellito i morti. Ieri, monsignor Sanguinetti, il vescovo di Tempio-Ampurias, ha chiarito chi siano i 'veri eroi' dell’alluvione: «il poco che la gente aveva lo ha messo a disposizione per gli altri, e ha reso possibile il nostro lavoro». Anche questo termine, 'lavoro', spesso abusato, ad Olbia ritrova una corrispondenza semantica. Furono infatti migliaia i volontari che si rimboccarono le maniche per distribuire materassi e bevande calde nelle parrocchie e nei comuni, trovare una casa a chi non ce l’aveva più, consolare chi era rimasto solo. Ma Olbia 2013 ha restituito il significato anche ad altre parole spesso fraintese, come 'sussidiarietà': non va confusa con 'supplenza', anche quando, in occasioni come questa, la Chiesa e la società civile sanno colmare e colmano il vuoto di certe parole non dette. L’ha ricordato sempre Sanguinetti, puntando il dito su quel che manca: «non possiamo sostituirci allo Stato. Aspettiamo ancora l’intervento delle istituzioni».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: