venerdì 3 gennaio 2014
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Gentile direttore, si continua a dire di voler cambiare l’Italia... «La finanza pubblica deve essere sana. Il bilancio dev’essere in pareggio. Il debito pubblico dev’essere ridotto. L’arroganza dell’amministrazione dev’essere combattuta e controllata. L’aiuto dei Paesi stranieri dev’essere diminuito per evitare il fallimento di Roma. La popolazione deve ancora imparare a lavorare invece di vivere di sussidi pubblici». Parola di qualche nostrano leader rampante? No, Marco Tullio Cicerone oltre 25 secoli fa! «Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!». Parola di Beppe Grillo? No, Dante Alighieri, Purgatorio, Canto 6°! Con un mesto "no comment", auguri e saluti distinti.
Gennaro Goglia, Civitavecchia (Rm)
Nessuno inventa o scopre nulla di nuovo a proposito degli storici "vizi" dell’Italia e degli italiani? Beh, gentile signor Goglia, in una certa misura è così. Ma già da tempo mi sono persuaso che il nostro problema non è quello di cancellare di colpo una serie di atavici difetti, ma di credere nelle nostre virtù e deciderci a valorizzarle appieno. Questo Paese negli ultimi duemila anni ha conosciuto e cambiato tutte le possibili pelli, tutti i possibili regimi politici e ha preservato una sola grande ricchezza comune: la sua cultura cristiana che l’ha fatto uno anche quando appariva ed era irrimedibilmente diviso. Cambiare non significa diventare qualcosa e qualcuno d’altro, ma imparare continuamente a essere il meglio di ciò che noi siamo.
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