domenica 5 novembre 2023
L’età cerniera, in base allo studio condotto dall’Osservatorio del Toniolo, è quella tra 16 e 17 anni. Quando c’è l’esigenza di parole convincenti davanti a grandi domande
I giovani che abbandonano la Chiesa non hanno trovato le risposte giuste

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Il percorso di fede spesso si interrompe, ma l’esperienza di comunità resta L’età cerniera, in base allo studio condotto dall’Osservatorio del Toniolo, è quella tra 16 e 17 anni. Quando c’è l’esigenza di parole convincenti davanti a grandi domande Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalla convinzione che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori fanno di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le altre puntate su Avvenire.it.

«Io vengo da una famiglia religiosa e quindi ho iniziato da piccola ad andare al catechismo fino alla Cresima » . Il racconto della storia religiosa dei cento giovani intervistati nell’ambito dell’indagine su quanti si sono allontanati dalla Chiesa inizia quasi sempre così. Quelli che hanno oggi intorno ai vent’anni sono stati indirizzati dalla famiglia alla parrocchia dove hanno fatto il classico percorso dell’iniziazione cristiana che per quasi tutti si è concluso con la celebrazione della Cresima. La differenza di percorso comincia da qui, ma fino alla Cresima l’esperienza religiosa è stata piuttosto uniforme. Anche il ricordo che i giovani hanno di quella loro esperienza di ragazzi è alquanto univoca: la memoria del momento della catechesi è più o meno gradevole in base al carattere del catechista o della catechista che hanno incontrato, ma niente di entusiasmante: il tranquillo senso di un dovere imprescindibile.

Tutti ricordano lezioni dottrinali di cui hanno capito poco allora e di cui non ricordano nulla oggi. Frequentare il catechismo significava l’obbligo di andare a Messa la domenica, e qui i ricordi sono quasi unanimemente negativi. Il sentimento che prevale è quello della noia: « Mi annoiavano, mi ricordo che mi annoiavo, che a volte smettevo anche di ascoltare perché mi annoiavo. Ti sentivi obbligato, anche da mia madre e mio padre che mi dicevano “Devi andare, è domenica. È brutto se non vai, perché ci vanno tutti” ». Vi è in loro anche il ricordo di accese discussioni familiari, per l’insistenza con cui alcuni genitori pretendevano che i figli andassero a Messa, contro la loro volontà . La memoria si accende quando i giovani ricordano i momenti formativi cui hanno partecipato durante l’estate: campiscuola, campeggi, vacanze con la parrocchia…. Qui i ricordi si fanno più precisi, si avverte un calore in quelle memorie in cui confluiscono la condivisione di momenti belli con gli amici, dialoghi importanti con adulti significativi, momenti di preghiera in cui vi era spazio per una diversa partecipazione e spontaneità, spesso nel contesto di scenari naturalistici suggestivi. Quanti hanno avuto esperienze estive formative hanno un ricordo positivo di ciò che hanno vissuto, anche se riconoscono che non sempre quei momenti hanno avuto per loro un significato religioso. Tuttavia hanno avuto una valenza formativa importante.

L'apprezzamento per quanto hanno ricevuto sul piano formativo è più elevato nei giovani che hanno alle spalle l’appartenenza ad un’associazione o ad un movimento. Leggendo le loro testimonianze, ci si rende conto di quanto un’esperienza strutturata, con una configurazione formativa forte, abbia lasciato il senso di un cordiale legame con il mondo ecclesiale: il contatto con un certo ambiente, con il suo clima umano, con il suo sistema di valori, con il suo stile relazionale, viene ricordato al di là di momenti formativi specifici vissuti in parrocchia o in oratorio. È molto interessante notare come in questi giovani, che si sono allontanati dagli ambienti ecclesiali con atteggiamenti spesso decisamente critici, non vi siano né risentimento né rabbia, ma gratitudine. Molti riconoscono che se sono le persone che sono ora, molto è dovuto alla frequentazione di un ambiente in cui hanno imparato rispetto, solidarietà, attenzione all’altro. Non attribuiscono valore religioso a ciò che hanno vissuto in parrocchia, ma forza formativa per la loro crescita umana e civile. « Se sono la persona che sono -dice un giovane- questo lo devo anche a quello che ho vissuto negli ambienti dell’oratorio ». Il loro percorso, per quanto nelle intenzioni e nei contenuti fosse di iniziazione alla vita cristiana, in effetti non è stato così, perché, come dichiara qualcuno, andavano a catechismo per stare con gli amici, per tutto quello che si muoveva attorno all’incontro di catechesi, spesso sopportato per poter avere tutto il resto. Così, conclude una giovane, « io non posso dire di aver abbandonato la fede; credo di non averla mia avuta ». La loro fede bambina oggi appare loro come una non-fede; l’allontanamento non è dalla fede, ma dagli ambienti di essa. D’altra parte vi è una notevole percentuale per la quale l’allontanamento dai luoghi della fede non significa abbandono della fede.

Perché un così grande numero di ragazzi si allontana? Forse ogni giovane fa storia a sé; dietro un fenomeno che sembra uniforme, vi sono storie personali molto varie, all’interno delle quali è possibile cogliere alcune costanti, tanto da poterne fare quasi una tipologia. La maggior parte degli abbandoni avviene per il mancato passaggio da una fede bambina a una fede adulta; in qualche caso, perché ci si è trovati di fronte a domande esistenziali che nella fede non hanno trovato risposta, in altri casi ancora perché lo studio della filosofia, della storia e delle scienze ha posto di fronte a visioni che non si è riusciti a mettere in dialogo con la fede. Pochissimi sono i giovani che non hanno saputo dire la ragione della loro scelta, o che hanno detto di non sentirsi interessati a una prospettiva religiosa. Sono storie che rendono molto pensoso l’adulto; viene il sospetto che il modo abituale di presentare la vita cristiana non abbia sufficienti ragioni e che la certezza di essere nella verità renda molti educatori poco aperti alle domande e poco disponibili al dialogo. L'età cerniera, in base alle interviste dei cento giovani dell’Osservatorio Giovani Toniolo, sembra essere quella tra i 16 e i 17 anni; è l’età in cui diventa ineludibile l’esigenza di avere risposte convincenti alle grandi domande e in cui l’affacciarsi agli interrogativi della vita adulta rende esigenti, pensosi, critici. È vero che l’abbandono della pratica religiosa avviene prima, dopo la Cresima, ma sono due abbandoni diversi: quello della piena adolescenza è scelto, deliberato, consapevole. Il catechista, che si è molto impegnato per accompagnare i suoi ragazzi lungo il percorso di una vita cristiana che ha nel sacramento che rende cristiani adulti il suo culmine, resta amareggiato nel vedere che, la domenica dopo la celebrazione della Cresima, dei “suoi ragazzi” a Messa non c’è nessuno. E magari pensa che la sua fatica non sia servita a nulla, oppure si chiede dove ha sbagliato, che cosa è mancato alla sua proposta. Se la Cresima è diventata il sacramento del “ciao ciao alla Chiesa”, questo significa il fallimento del cammino di iniziazione cristiana? Non è qui il momento per affrontare questa questione complessa; può darsi che vi siano nelle varie proposte di iniziazione cristiana degli elementi di debolezza, ma forse la debolezza maggiore è nello scarso spessore di un profilo adulto di vita cristiana. Questo sarà il tema della prossima settimana!

Vi è un aspetto molto interessante a proposito di allontanamenti: vi è in molti una nostalgia di ritorno, la percezione che l’abbandono della comunità cristiana e/o della fede costituisca un impoverimento. La nostalgia assume talvolta accenti struggenti, come nella testimonianza di questa ventenne: «Mi mancano l’oratorio, la vita comunitaria, ma al momento faccio fatica a credere a questa idea di fede. Mi piacerebbe tornare avendo delle figure di riferimento, qualcuno che mi reindirizzi in quella direzione senza costringermi, dire “no, tu ricomincia gradualmente, se te la senti vieni a messa, vieni a confessarti” senza quegli obblighi stringenti. Questo mi aiuterebbe, non so se ce la farei, però un tentativo lo farei ». Parole che fanno molto pensare. Diversi degli intervistati affermano che ciò che manca loro, dopo l’abbandono dell’esperienza religiosa, è soprattutto una comunità. L’approdo della rielaborazione dell’esperienza religiosa vissuta da ragazzi è duplice: la presa di distanza critica da un mondo cui si sentono estranei, e una fede solitaria, personale, senza comunità e senza radici, con tutti i rischi di un cristianesimo “fai da te”. In ogni caso, prendere le distanze dall’esperienza religiosa che ha avuto non poca importanza nella fanciullezza e nella preadolescenza è una decisione che i giovani non prendono a cuor leggero, quando non anche a prezzo di inquietudine e di sofferenza. Anche per questo meritano tutta l’attenzione degli adulti e la comprensione degli educatori.

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