domenica 1 maggio 2011
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Aveva ragione il cardinale Meisner quando nel 2005, poco prima della Gmg di Colonia, affermò che quella sarebbe stata «la prima Giornata mondiale della Gioventù con due Papi». La prima, non l’unica. Da Madrid 2011 in avanti, infatti, tutte le Gmg avranno in un certo senso due Papi, dato che Giovanni Paolo II, iniziatore di questi straordinari eventi della fede, ne diviene anche il Patrono. Del resto era, per così dire, nell’ordine naturale delle cose.Nessun Papa ha esercitato sul mondo giovanile lo stesso impatto di Karol Wojtyla. Nessun Papa, come lui, ha dato la sua impronta a un’intera generazione.«Voi siete l’avvenire del mondo, la speranza della Chiesa. Voi siete la mia speranza», disse all’inizio del suo ministero di pastore universale.Che non fossero parole di circostanza, ma una delle grandi linee programmatiche del suo pontificato, lo si capì subito. E da allora in poi il «Pontefice venuto da lontano» non perse occasione per dimostrare in tutti i modi la sua vicinanza ai giovani. Vicinanza affettiva e soprattutto spirituale, vicinanza del testimone di un Amore più grande che vuole trasmettere agli altri, mai quella blandente e ammiccante di chi asseconda comportamenti discutibili in nome di un falso e perciò deleterio giovanilismo.Con i suoi giovani Papa Wojtyla è arrivato a scherzare perfino sul suo nome («Lolek non è serio, Giovanni Paolo II lo è troppo, chiamatemi Karol», Manila, 1995). Ma non ha mai fatto sconti sul piano dottrinale. Resta emblematico quello che disse a Utrecht, in Olanda, il 13 maggio 1985: «Lasciate che vi parli francamente. Siete proprio sicuri che l’immagine che avete di Cristo corrisponda alla realtà? Il Vangelo ci mostra un Cristo esigente che vuole indissolubile il matrimonio, che condanna l’adulterio anche solo nel desiderio. In realtà Cristo non è stato indulgente in fatto di amore coniugale, di aborto, di relazioni sessuali, prima e fuori del matrimonio, di relazioni omosessuali».Neanche Giovanni Paolo II è mai stato indulgente su questi temi (di attualità allora come oggi), ma ha conquistato ugualmente il cuore dei giovani, perché nessuno ha mai visto in lui l’arroganza del censore, quanto l’amore del padre. Questa è anche la ragione del suo intramontabile fascino presso il mondo giovanile. Non solo quando «era l’atleta di Dio», ma anche quando la malattia ne aveva minato il fisico. Karol Wojtyla ha saputo parlare alla «generazione del ’68» – spinta da un anelito di libertà che però si era indirizzato verso l’ideologia più antilibertaria mai esistita – e ha fatto crescere al suo interno, come poi accadrà con quelle successive, la «generazione Giovanni Paolo II», dimostrando che la vera libertà si trova solo in Cristo.A questa generazione ha anche consegnato un suo manifesto: «Voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno e vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti».Era la notte di Tor Vergata, Roma 2000. Undici anni dopo, nel giorno in cui diventa beato, quelle parole continuano a risuonare più vive che mai. E il Papa dei giovani continua ad accompagnare i suoi ragazzi in tutto il mondo, per favorire il loro incontro con Cristo, con Papa Benedetto XVI e con la Chiesa intera.
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