sabato 12 novembre 2011
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Per tutto il suo pontificato Giovanni Paolo II ha manifestato, anche se in modo discreto, una predilezione speciale per la Cina, il suo popolo e la sua Chiesa. Ma – al pari di Madre Teresa, che invano ha bussato alla Grande Muraglia per anni – anche Papa Wojtyla non ha mai potuto metter piede, da vivo, in quelle terre. Nel 1999 sembrava che il sogno fosse a un passo dal concretizzarsi, poi però dovette piegarsi al "no" di Pechino.Ora, a 6 anni dalla sua morte e a 31 dall’unica visita di un Papa (Paolo VI) nell’allora colonia britannica, finalmente Giovanni Paolo II corona il suo sogno, anche se solo simbolicamente: una reliquia del Beato Karol Wojtyla (una ciocca di capelli) approda a Hong Kong. E ci arriva con una rapidità – due soli mesi dalla richiesta – che ha stupito tutti. Il vicario generale della diocesi ha confidato all’agenzia UcaNews la sua sorpresa. «Forse è dipeso dal nostro essere una diocesi cinese», ha dichiarato il sacerdote. Già, un trattamento di favore non si poteva proprio negare a una terra che Giovanni Paolo II ha tenuto a lungo nel cuore. Sono tanti i segnali che Wojtyla ha mandato a Pechino. Fin da subito. All’Angelus del 19 agosto 1979, Giovanni Paolo II dichiara: «La nostra preghiera s’indirizzerà costantemente a Dio per il grande popolo cinese". Nello stesso anno crea cardinale in pectore Ignazio Gong Pinmei, arcivescovo di Shanghai, che stava scontando una condanna all’ergastolo in Cina. Di lì a tre anni dirà: "La preoccupazione per la Chiesa in Cina è divenuta l’ansia costante e specifica del mio pontificato". A quell’anno, il 1982, risale la Lettera Caritas Christi, "per la Chiesa che è in Cina".Padre Gianni Criveller, missionario del Pime e sinologo, autore di uno studio approfondito su Giovanni Paolo II e la Cina, ha scritto: "Karol Wojtyla è stato eletto papa nel 1978, quando Deng Xiaoping stava inaugurando la politica dell’apertura in Cina. Per questo il Papa seguiva in modo costante gli eventi della Cina, sperando davvero di trovare una via per ricostruire i rapporti interrotti".Ma c’è di più. Fin dall’inizio, Papa Wojtyla aveva intuito - lui che veniva dall’esperienza di un regime comunista - che l’unica strada per accreditare la fede cristiana agli occhi di un potere che la voleva (e vuole) escludere dalla scena pubblica consiste nel mostrare che non esiste opposizione tra l’essere autenticamente cattolici e l’essere autenticamente cinesi. Giovanni Paolo II ha sviluppato per la prima volta il 18 febbraio 1981 quest’idea, poi ribadita in varie occasioni. «Un vero fedele cristiano – ha scritto – è anche un onesto e buon cittadino». Un concetto ripreso da Benedetto XVI, con accenti molto simili, un quarto di secolo dopo.Nonostante i suoi slanci, anche Wojtyla ha provato il gusto amaro dell’incomprensione: una sua lettera spedita a Deng Xiaoping Il 16 novembre 1983 è rimasta senza risposta. Nel 2000, durante il Grande Giubileo, dovette subire l’onta delle ordinazioni episcopali illecite e le polemiche per la canonizzazione dei 120 martiri. Ma l’anno dopo rispose alle umiliazioni con una coraggiosa richiesta di perdono, inviando un indimenticabile messaggio ai partecipanti al convegno su Matteo Ricci del 24 ottobre 2001.Oggi che il dialogo tra Santa Sede e Cina sembra vivere una stagione di "grande freddo", chissà che l’affetto del vecchio Papa per il popolo cinese non riesca ad aprire una breccia nella Muraglia. In fondo, ai beati è lecito chiedere miracoli.
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