martedì 5 ottobre 2010
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L’ultimo viaggio di Francesca è cominciato dal suo mare che, sporcato all’improvviso da una furiosa chiazza di fango, già le aveva preso la vita. È durato 34 giorni ed è stato un lungo viaggio, forse più lungo dei suoi anni di vita, venticinque, i sogni dell’età inseguiti anche dietro al bancone di un bar, con la laurea messa da parte, per aiutare in famiglia. Da Atrani, minuscolo e splendido borgo della costa d’Amalfi, Francesca ha attraversato tutta la striscia di mare fin dove finisce l’Italia, ed è andata a toccare un’altra riva, quella di Panarea, nelle Eolie, dove ugualmente la prima cosa che viene in mente è la suggestione e la bellezza dei luoghi.Non è andata alla deriva, Francesca, anche se per sapere che erano suoi quei resti a malapena avvistati, c’è stato bisogno dell’aiuto della sua maglia con l’effigie di Minnie e Topolino e del cellulare, due simboli di una gioventù vissuta tra tenerezza e radicamento nel tempo. Quel suo ultimo viaggio è valso forse più della vita che d’improvviso la collera della natura le aveva tolto: Francesca è riuscita, infine, a farsi presente, a non darla vinta, neppure da morta, al silenzio che s’era fatto intorno alla sua sorte, e che strideva troppo con quel rimpianto così corale e manifesto, quasi gridato, che ne aveva accompagnato la scomparsa. Panarea ha restituito, di Francesca, pochi segni, quel che poteva rimanere di un lungo viaggio senza meta, nella lontananza e nella profondità di mari solcati da un corpo senza vita, ma, misteriosamente segnato dalla ricerca, e quasi dalla volontà, di un approdo.Lei aveva ancora qualcosa, anzi molto, da dire, anche dopo quel tragico pomeriggio di oltre un mese fa – era il 9 settembre – quando l’alluvione di acqua e fango, senza badare ai suoi anni, aveva travolto la sua vita; e stravolta quella dei suoi cari, per i quali la speranza, da quel terribile momento, non poteva andare oltre il conforto di una sepoltura. Ciò che le restava da dire Francesca lo ha come trasposto nelle parole e nel cuore di chi con lei aveva spartito, giorno per giorno, il breve tratto di vita. E a papà Raffaele, diacono della chiesa di Amalfi, è toccato raggiungere la figlia, riaffiorata di stenti in un mare lontano, e deporre lacrime di padre accanto ai segni della fede: nel dolore, il segno di un privilegio che, senza mitigarne il peso, ne accresce il valore e rende estrema la forza di un legame che non s’arresta, semmai si rinsalda, alla soglia tra la vita e la morte. Tornerà in paese, a Minori, quel che resta di Francesca. Ancora un viaggio, ancora un approdo. Ma questa vita, andata drammaticamente persa tra le sponde di mari lontani, è ora più che mai radicata in una «terra» che è tutta nostra, segnata dalle devastazioni e dalle rapine all’ambiente, sporcata dall’incuria, umiliata da precarietà sempre più largamente diffuse; eppure misteriosamente riscattata, alla fine, non tanto da storie virtuose, ma da persone che, come Francesca, sembrano spuntare dal nulla, e proprio per dire che il nulla non esiste. E che neppure le profondità dei mari, talvolta, riescono a inabissare ciò che già la morte aveva cercato di annientare. Francesca ha dato la vita. Ma Francesca è andata al largo. (E un po’ ha portato con sé tutti noi).
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