sabato 18 marzo 2017
Una piccola, piccolissima manina di una bimba nata prematura che afferra la «manona» dell'infermiera in un ospedale americano. Il miracolo della vita ci interroga
Guardiamo queste mani e capiamo la vita
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Ci sono titoli, di libri o di giornali, film, ma anche semplici fotografie, che ci s’impiantano nella testa e non se ne vanno più. Riassumono eventi, messaggi, storie: basta guardarli e una narrazione intera ti si dispiega davanti agli occhi.
La settimana scorsa m’è capitata questa esperienza con una foto: una foto apparentemente banale (proveniente da un social network), per di più in bianco e nero, che ritraeva una piccola, piccolissima manina calata su una manona. Niente di che. Ma era troppo piccola la manina, c’era qualcosa d’innaturale in quella piccolezza. Dopo aver voltato parecchie pagine del giornale, quella piccolezza mi richiamò indietro.

Torno indietro dunque, guardo meglio e leggo. In effetti è la manina di una bambina appena nata, ma che non dovrebbe ancora essere nata, perché questo per sua madre non è il nono mese di gravidanza, è appena il sesto e mezzo, 26 settimane. Quando un bambino nasce al settimo mese, la lingua ha inventato un termine preciso per definirlo: settimino. Ci sono tanti settimini al mondo, io ne conosco più d’uno. Ma questa bambina non è al settimo mese, è al sesto e qualcosa: si può chiamarla "seimina"? No, questo termine non esiste. Segno che la cosa da definire è molto rara, non merita una parola. Eppure questa bambina esiste, è nata, l’hanno fotografata, sto guardando la sua manina.


Ma perché hanno fotografato questa manina? Perché c’è un messaggio in quella manina, un discorso. Un richiamo. Una domanda. Chi l’ha fotografata, ha sentito quella domanda, e ne è rimasto impressionato. Vuol trasmetterci la sua impressione. Probabilmente è sorta una domanda dentro di lui. Vuol far sorgere la stessa domanda dentro di noi.

La prima volta che m’imbattei nel Davide di Michelangelo, ero studente di liceo, e ricordo la didascalia sotto la foto della statua, nel testo di Storia dell’Arte, che diceva, a noi studenti: "Guardate la mano, sembra abbandonata e inerte, ma è sensibile, tesa e nervosa: c’è il Rinascimento in quella mano, la voglia di rifare il mondo". Ora guardo questa manina di neonata, nata in età prenatale, e penso: «C’è la vita in questa mano, la voglia di entrare in contatto con noi».

La manina è leggermente curva, posata sulla mano dell’infermiera che l’ha fatta nascere, in una clinica americana; si adatta alla sagomatura della mano, all’altezza del polso. È una manina esploratrice. Vuol sapere cos’ha davanti, chi, cosa fa, com’è. È fiduciosa. Tocca senza paura. Pensa che il mondo sia buono, che chi l’ha fatta nascere sia buona, e cioè che la madre sia buona. La neonata ha bisogno di tutto e pensa che chi l’ha fatta nascere l’aiuterà.

Non so in quale clinica sia nata questa bambina, ma in America ci sono cliniche nelle quali cercano di indirizzare messaggi ai nascituri, di fargli sentire parole o musica, le stesse parole e la stessa musica che sente la madre. Serve a intensificare la vita-insieme, la simbiosi, tra madre e figlio, nel periodo della gravidanza. Al momento del parto, immettono nella sala la stessa musica, per dare al nascente la sensazione della continuità: lui non comincia a essere adesso, adesso semplicemente continua una storia che ha già una preistoria.
Una volta (mi torna sempre in mente, quando richiamo queste letture), un medico teneva sotto osservazione radiologica un nascituro, quando nella stanza entrò il padre sbattendo la porta: il non-ancora-nato ebbe un tremito. C’è continuità fra il tempo pre-natale e il tempo post-natale. Questa bambina, che sto osservando nella fotografia, doveva nascere fra dieci settimane, invece è nata adesso. La manina "prensile" che tende è come un foglio con la anamnesi. C’è scritto molto, sopra, e noi non sappiamo ancora leggerlo, possiamo però sentirlo. Lei il più lo registrerà a partire da questo momento. Con quella manina brancolante, sta cercando le informazioni da continuare a scrivere...


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