giovedì 21 novembre 2013
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Le lettere dei lettori ai giornali sono importanti, perché esprimono l’opinione popolare, il commento dal basso alle notizie del giorno, e le reazioni all’andamento politico, economico, sociale. In genere contengono proteste, ma alle volte anche ringraziamenti. Bisogna dare importanza alle lettere dei lettori, non meno che agli articoli degli opinionisti. Qualche giorno fa ho letto su un giornale una lettera che m’è rimasta impressa. Finito di scorrere il giornale, sono tornato indietro e l’ho riletta. Non l’approvo per niente. Ma è chiara, lucida, esauriente. È la lettera di un padre che ringrazia i figli perché non fanno figli. Quindi, è un rifiuto della nonnità dentro il quale c’è un rifiuto della paternità. Non è una lettera "personale", è una lettera "generazionale": voglio dire, questo padre non dice ai figli «grazie figli miei, perché non fate figli e così non gli trasmettete le vostre malattie genetiche», no, egli dice che non bisogna fare figli, fare figli è un errore e una disgrazia, per una serie di ragioni valide per tutti, e sono le seguenti.Cos’è, in fin dei conti, fare figli? È «confezionare marmocchi». E quando li hai confezionati, dove li porti a spasso? Dappertutto smog, traffico, sporcizia. Un figlio costa, e se voi, ipotetici padre e madre, siete precari, come fate a mantenerlo? Allevarlo? Curarlo? Guarirlo? Educarlo? E poi, che vita gli date? Siamo in un’epoca in cui conta solo il denaro, chi ha è, chi non ha non è, voi non avete e vostro figlio non avrà, dovrà rassegnarsi a non essere. Intorno a noi regna la volgarità, per integrarsi vostro figlio dovrà essere volgare, se non sarà volgare resterà un disadattato, un fuori-società, un escluso, cioè un fallito. Avrà dei meriti? Ma per ottenere non serve meritare, serve piuttosto appartenere a qualche lobby. In conclusione: «Grazie, figli, di non volere figli!».È una lettera amarissima, e qui l’ho un po’ integrata, tirando fuori anche ciò che la lettera lasciava coperto. Ma non credo di averla tradita, ciò che la lettera comunica è questo. L’amarezza della lettera è l’amarezza di vivere in quest’epoca, e i mali dell’epoca noi, gente comune, li riceviamo e li soffriamo, non li generiamo, siamo vittime. Quindi nessuna accusa a questo padre, semmai un invito a pensare che contro i mali del nostro tempo non bisogna rinunciare a fare figli, ma fare figli ed educarli da uomini nuovi, allora si creerà un’epoca nuova. Di fronte a un figlio o a un nipote appena nato, nessun padre o nonno immagina di essere di fronte a un «marmocchio confezionato», l’esperienza è profondamente diversa, al limite del dicibile (per me, anche oltre). È l’esperienza più alta che si possa vivere nella vita: la ri-partenza, la ri-vita. Ci sono state donne che per partorire rischiavano di morire e hanno accettato, hanno partorito ma sono morte: la cronaca di una di queste donne ha avuto su un giornale un titolo inobliabile, «costringe la morte a pagare una vita».C’è un libro di Rousseau che comincia così: «Tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo. L’uomo sforza un terreno a nutrire i prodotti propri di un altro terreno. Innesta un albero perché porti i frutti d’un altro. Altera i climi, gli elementi, le stagioni. Mutila il suo cane, il suo cavallo, il suo schiavo. Ama le deformità e i mostri. Non vuol nulla come l’ha fatto natura». Tutto questo non si rimedia eliminando gli uomini ma educandoli diversamente. Il bambino non dà importanza al denaro, lui vuole giocattoli. Tra le cose luccicanti e le cose costose preferisce le prime. Per la stessa ragione Saffo ama l’oro: perché splende. Per il bambino il gioco è un lavoro, vale immensamente, e non importa se non produce denaro. Gli studiosi di estetica, Benedetto Croce in testa, invitano l’artista a fare arte con gli stessi criteri.I figli e i figli dei figli sono la continuazione, la resistenza, la lotta. Se l’autore della lettera ci tiene alla sua battaglia, ha bisogno dei figli dei figli per trasmettere loro anche solo i suoi princìpi: operazione che vale la pena.
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