mercoledì 21 marzo 2018
Le persone riportate a terra dalla Guardia costiera libica ritornano nei centri di detenzione per essere nuovamente vittime di violenze e abusi
(Ansa)

(Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Gentile direttore, seguo con attenzione sulle pagine di “Avvenire” il serio lavoro di informazione e documentazione sui fenomeni migratori e, specificamente, su quanto avviene realmente nell’inferno libico. Fatti su cui è intervenuto anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.

Proprio per questo sul trattamento dei migranti da parte delle milizie libiche vorrei segnalare l’allegata sentenza del Tribunale permanente dei Popoli, pronunciata nella sessione di Palermo (18-20 dicembre 2017), dopo aver acquisito una copiosa documentazione e ascoltato numerosi testimoni, tra cui anche migranti trattenuti nei campi libici. Le violenze ripetute e sistematiche e i casi di stupro e di abuso sessuale risultano documentate. Diversi rapporti presi in esame dal Tribunale hanno evidenziato come la maggior parte delle persone riportate a terra dalla Guardia costiera libica (tra cui donne già violentate e in stato di gravidanza, minori non accompagnati e vittime di torture) ritorna nei centri di detenzione per essere nuovamente vittima di abusi. È del tutto evidente che nessuna persona sensata, in siffatta situazione, può ritenere di consegnare i migranti naufraghi alle autorità libiche, tanto più in presenza della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’obbligo di non-refoulement (non respingimento) da parte dei Paesi membri.

Nelle sue conclusioni, il Tribunale permanente dei Popoli, tra l’altro, afferma che: 1) la decisione di arretrare le unità navali di Frontex e di Eunavfor Med ha contribuito all’estensione degli interventi della Guardia costiera libica in acque internazionali, che bloccano i migranti in viaggio verso l’Europa, compromettendone la loro vita e incolumità, li riportano nei centri libici, ove sono fatti oggetto di pratiche di estorsione economica, torture e trattamenti inumani e degradanti; 2) le attività svolte in territorio libico e in acque libiche e internazionali dalle forze di polizia e militari libiche, nonché dalle molteplici milizie tribali e dalla cosiddetta “guardia costiera libica”, a seguito del Memorandum del 2 febbraio 2017 Italia-Libia, configurano – nelle loro oggettive conseguenze di morte, deportazione, sparizione delle persone, imprigionamento arbitrario, tortura, stupro, riduzione in schiavitù, e in generale persecuzione contro il popolo dei migranti – un crimine contro l’umanità; 3) a seguito degli accordi con la “guardia costiera libica” e nell’attività di coordinamento delle varie condotte, gli episodi di aggressione denunciati dalle Ong che svolgevano attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, sono ascrivibili anche alla responsabilità del Governo italiano, eventualmente in concorso con le Agenzie europee operanti nello stesso contesto. Cordiali saluti.

*Presidente Fondazione Lelio e Lisli Basso – Onlus

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: