venerdì 6 agosto 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
La votazione con la quale la Camera ha respinto mercoledì pomeriggio la «mozione di sfiducia» contro il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo ha portato novità nella pur variegata tradizione parlamentare italiana.La prima novità, infatti, consiste nell’oggetto della votazione, che solo fra virgolette può essere qualificata come una mozione di sfiducia. Quest’ultimo tipo di atto parlamentare, infatti, ha come destinatario di norma il Governo, verso il quale può essere diretto, su iniziativa di un decimo dei componenti di una delle due Camere, per obbligarlo a rassegnare le dimissioni. Dagli anni Ottanta, però, si sono diffuse nella prassi parlamentare delle mozioni di sfiducia «contro singoli ministri», che alla Camera sono poi state disciplinate giuridicamente dall’art. 115 del Regolamento, mentre al Senato la disciplina è rimasta allo stato di prassi, ed è retta da una decisione di Cossiga, all’epoca presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama. La mozione di sfiducia individuale viene così assimilata a quella «generale» (contro il Governo) e, analogamente a questa, è idonea a obbligare il ministro sfiduciato a dimettersi. La sua ragione di esistenza è duplice: da un lato far valere la responsabilità politica del ministro, senza coinvolgere l’intero Governo; dall’altro operare come sostituto funzionale del potere di revoca dei ministri da parte del presidente del Consiglio (non previsto nella nostra Costituzione). Nel primo caso la mozione è strumento dell’opposizione, nel secondo della maggioranza: per questo solo il secondo tipo di mozione ha qualche chance di successo e di questo tipo è l’unica sinora approvata, quella contro il ministro della Giustizia Filippo Mancuso nel 1995. Tutte le altre mozioni di sfiducia contro ministri sono state sempre respinte.Contro i sottosegretari è più problematico immaginare mozioni di sfiducia, anche perché per loro è ammessa nella prassi la revoca (effettivamente disposta, sinora, in tre casi: Pappalardo, governo Ciampi; Giorgianni, I governo Prodi; Sgarbi, II governo Berlusconi). Nel caso di Caliendo (come nell’unico precedente, lo scorso mese contro Cosentino, con voto saltato per le dimissioni del sottosegretario destinatario), la mozione è uno strumento dell’opposizione, non della maggioranza. Essa è configurata come impegno al Governo «ad invitare (...) a rassegnare le dimissioni da sottosegretario». E avrebbe avuto possibilità di successo solo se fosse stata sostenuta dalla stessa maggioranza.Qui sta la seconda particolarità dell’atipico voto di mercoledì. In esso, per la prima volta nella storia delle votazioni "fiduciarie" di epoca repubblicana, un gruppo parlamentare che compone la maggioranza di governo (e che esprime un ministro, un viceministro e alcuni sottosegretari) si è formalmente dissociato (mediante l’astensione) rispetto alla permanenza in carica di un membro del Governo stesso.Pur con tutte le precisazioni che si sono viste, pertanto, il voto di due giorni fa, nonostante il suo risultato favorevole al Governo, è un altro segno dell’anomalia parlamentare che si è delineata con la formazione dei gruppi di "Futuro e Libertà. Per l’Italia". La posizione dei finiani è difficilmente classificabile: forse è qualcosa a metà fra l’«appoggio esterno» noto alla prassi politica anteriore al 1992, la politica craxiana delle «mani libere» e l’andreottiano «governo della non-sfiducia» nel 1977-78. Una fenomenologia da Prima Repubblica che non annuncia tempi tranquilli.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: