Facciamo noi la logistica umanamente sostenibile
sabato 19 giugno 2021

La logistica non dovrebbe essere un’attività drammatica. Si tratta essenzialmente di spostare prodotti: trasportarli dal luogo in cui sono stati realizzati a quello dove saranno utilizzati. Sembra semplice. Evidentemente non lo è. C’è qualcosa che non va in questo settore, che negli ultimi giorni è diventato un generatore di brutte vicende. Venerdì c’è stata l’assurda morte del sindacalista Adil Bellakhdim, investito e trascinato da un camion mentre protestava davanti ai cancelli del magazzino Lidl di Biandrate.

Una settimana fa i lavoratori del Si Cobas, il sindacato di Bellakhdim, erano stati al centro di uno scontro con sassi e bastoni davanti ai magazzini della Zampieri di Tavazzano, nel Lodigiano, dove stavano protestando per la chiusura di un magazzino FedEx di Piacenza. Dieci giorni fa alla Dhl Supply Chain Italy sono stati sequestrati 20 milioni di euro dalla Procura di Milano, che l’accusa di avere messo in piedi un sistema di false cooperative per evadere l’Iva e i contributi. Tutto questo solo a giugno e solo in Italia. Se allarghiamo lo sguardo al resto del mondo abbiamo altre storie strane, sgradevoli, come la polemica via Twitter, ad aprile, tra Amazon e un deputato repubblicano che aveva rilanciato un’incredibile accusa: alcuni lavoratori del gigante di Jeff Bezos si arrangiano come possono per provvedere alle loro esigenze fisiologiche, perché non gli è permesso perdere tempo per andare in bagno mentre smistano o consegnano i pacchi.

L’azienda ha scritto che era una bugia, poi ha finito per ammettere che alcuni dipendenti potevano avere vissuto situazioni del genere. È facile dare la colpa alle aziende, e in effetti in tutte queste vicende la responsabilità delle imprese è pesante: paghe irrisorie, contratti nazionali ignorati, furbizie fiscali, tutele minime per i lavoratori. Ma il dramma della logistica non sta tutto lì, non si esaurisce nella sequenza di episodi che ci parlano di 'aziende cattive' e 'lavoratori sfruttati'.

È invece la storia più generale di una società che si è abituata a non dovere badare troppo al costo del viaggio della merce dal produttore al consumatore. L’enorme crescita del commercio elettronico, che la pandemia ha contribuito ad accelerare, ha prodotto una pazzesca quantità di acquisti online, operazioni che comportano per loro natura la necessità di compensare la distanza fisica tra il consumatore e l’oggetto dei suoi desideri. Il grande problema dello shopping online, la vera 'scocciatura' per il cliente, sono i costi di trasporto: infatti i supermercati si organizzano per promuovere consegne a domicilio a costo zero, Amazon incentiva l’abbonamento al servizio Prime, che permette di eliminare le spese di trasporto su milioni di prodotti, e anche le società del food delivery moltiplicano le promozioni per fare sparire il costo della consegna dei pasti a domicilio. Qualcuno però quelle spese le deve sostenere. E non sono spese da nulla. Non è un caso che le società del food delivery siano quasi tutte in perdita, così com’è in perdita la spesa a domicilio per le catene dei supermercati o com’è in perdita la stessa Amazon sulle consegne dei prodotti più economici.

In questa situazione la logistica, come attività, è enormemente sotto pressione. Deve trasportare sempre più 'roba', ma deve farlo a un prezzo bassissimo, perché i consumatori e i negozianti vogliono pagare pochissimo per questi viaggi. Ovviamente il modo più semplice per tagliare i prezzi è pagare poco i dipendenti. Il tutto in attesa di affidare il magazzino ai robot e le consegne a droni e veicoli autonomi, che consumano poco e protestano anche meno. Il risultato di questa pretesa che tutto ci sia consegnato, velocemente e a poco prezzo, è sotto i nostri occhi.

Nel dramma di Biandrate o, più banalmente, nel moltiplicarsi dei furgoni dei corrieri parcheggiati in doppia fila e nelle temerarie corse in bicicletta a fari spenti dei rider che portano pizze, sushi e hamburger in giro per le nostre città. Le aziende della logistica sono state portate a lanciarsi in una corsa al ribasso, forse davvero troppo veloce per aspettarsi che siano le leggi a fermarla. Più del legislatore, siamo noi consumatori che possiamo rimettere le cose a posto. Iniziando a riscoprire che quando ci serve qualcosa possiamo anche cercare il posto in cui lo vendono e andarci di persona. Riprendendoci almeno quell’ultimo miglio che può aiutare la logistica a tornare più umanamente sostenibile.

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